La scrittura terapeutica


La scrittura terapeutica acquista consensi perché aiuta a superare gli eventuali traumi che lasciano il segno sul corpo. Permette di superare vecchi e nuovi sensi di colpa, risolve i conflitti interiori che continuano a produrre sofferenza , anche quelli dovuti a un approccio sbagliato agli affetti. Scrivere è un percorso di introspezione. Il dolore, i traumi di cui abbiamo sofferto restano in una parte del nostro cervello e continuano a condizionarci. Dobbiamo trovare il modo per elaborarli, farli venire alla luce, affrontarli. E la scrittura è una risorsa importante per riuscire nell’impresa.

Si tratta, insomma, di prendere carta e penna per scavare nella nostra interiorità. Senza finzioni. È una ricerca introspettiva che può essere definita una forma di autocura, con potenzialità antistress e antidepressive. Ma prima di tutto è importante imparare ad accettarsi. Saper perdonare e amarci. La scrittura terapeutica, poi, cambia il modo di vedere noi stessi, le relazioni che intratteniamo con gli altri e la realtà che ci circonda. Lo scrivere, quindi, non solo come una strategia da attuare in situazioni particolarmente difficili, nei momenti oscuri della nostra vita. Ma anche come una risorsa per la nostra crescita interiore, per liberarci dei condizionamenti, dei timori, delle fragilità, dei  pregiudizi che ci impediscono di vivere pienamente e con gioia la nostra esistenza. Un’occasione di arricchimento per tutti. Obiettivo: fermarsi, osservare, iniziare a guardare a noi stessi con nuovi occhi. Provare a capire chi siamo e che cosa vogliamo. Questo cambiamento mentale deve essere ascoltato e raccolto come un balsamo che porta immensi effetti benefici. Aggiunge valore alle cure mediche. Prendersi cura del nostro corpo significa ampliare gli orizzonti della nostra visione mentale, predisporci all’armonia tra corpo, psiche e spirito, comprendere l’unicità del nostro essere, riaffermare il concetto di interpenetrazione e reciprocità tra corpo e mente, come, tra l’altro, dicono anche le moderne Neuroscienze. Esistono vari metodi di scrittura terapeutica. Uno di questi consiste nello scrivere una poesia. Compito non facile. Eppure alla nostra portata: certo, non saremo tutti Dante Alighieri, ma il fatto di rispecchiarsi in un testo ben scritto, e che sentiamo nostro, può dare grandi soddisfazioni. E non solo estetiche. Parliamo di Poetic medicine, una strategia proposta negli Stati Uniti dallo psicologo universitario John Fox. Ha scritto libri, invita le persone a seguire i suoi seminari, molti giornali e TV lo intervistano. Si tratta pur sempre di scrivere una poesia. Come si fa? Senza l’ambizione di vincere il premio Nobel per la letteratura, Fox dice di fare così:

  • Raccolta dei materiali. Prima di tutto serve staccarsi dalle solite occupazioni. Questo è un momento per noi. Proviamo a ripescare le emozioni e le sensazioni che abbiamo provato nella nostra vita. Quelle che hanno lasciato il segno e che conserviamo segretamente. Tutte noi le abbiamo. Belle o brutte, non importa. Cerchiamo di fissarle su un taccuino. Pensiamoci a fondo, iniziamo a trovare le parole per esprimere queste esperienze che tenevamo segretamente per noi.
  • Vestiamo l’alloro del poeta. Riportate alla mente quelle esperienze, rileggiamo con calma quello che abbiamo scritto sul taccuino. A volte, può essere sorprendente. Ma ora tocca trasformarlo in poesia. Qualcosa che sentiamo nostro, ben radicato nella nostra psiche, cui magari non pensavamo da tempo: è il vero motore per dare forma a una poesia. Basta solo trovare le parole (pazienza se la metrica è zoppicante..). Evitare di lamentarsi, niente frasi come “ se io avessi fatto…”, “nessuno mi ha capito…”, “ se quello mi avesse ascoltato…”. No, non è la resa dei conti: è un atto artistico che trae la sua forza dalle nostre profondità . Mettete li il primo componimento. Non vi piace? Benissimo, vuol dire che siete già entrati nell’ottica della poesia. C’è sempre un modo per scriverla meglio.

trevaini50Silvia Trevaini

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