Benessere intestinale: non solo un esame, anche un dovere!

di Dr. Gianmaria Borsotti, Laurea in Scienze del Farmaco e stagista IMBIO

L’intestino è comunemente chiamato  il nostro “secondo cervello” e questo è verissimo,  ma c’è di più, è anche un grande “operaio”: ogni giorno elabora ciò che mangiamo; assorbe i nutrienti, le vitamine e i minerali; è responsabile della formazione 

delle sostanze di scarto che verranno poi eliminate e ci protegge dagli organismi dannosi per la nostra salute che entrano in contatto col nostro organismo.

QUALI SONO I SEGNI DI SQUILIBRIO? Il cattivo funzionamento dell’intestino può manifestarsi in vari modi, per esempio attraverso la diarrea, la stitichezza, il gonfiore addominale,  il dolore addominale e l’ aria nella pancia. Queste manifestazioni sono comuni e facilmente associabili ad un problema intestinale, ma è tutto qui? CERTO CHE NO!

QUANDO LE APPARENZE INGANNANO. Apparentemente le alterazioni a carico della pelle, dei capelli, o addirittura ansia e depressione, stress, alterazione dell’umore possono sembrare problematiche indipendenti dal funzionamento del nostro intestino, MA NON E’ COSI’: esiste una stretta relazione.

E SE IL NOSTRO INTESTINO SI “AMMALA”? Tra le varie conseguenze viene meno anche la funzione difensiva. La nostra trincea difensiva è compromessa e la conseguenza più ovvia è che siamo più vulnerabili!

In sostanza L’INTESTINO E’ UN ORGANO CHIAVE per la salute del nostro organismo! Ragionando attentamente si può arrivare  a considerare quanto ci possa influenzare, in senso negativo, la vita di tutti i giorni. Pensiamo a quanto risulti imbarazzante una pancia brontolante quando ci troviamo in mezzo alla gente o al bar con amici, oppure di come sia problematico affrontare una giornata lavorativa quando siamo minacciati dalla dissenteria. La mancata funzionalità intestinale, sia dal punto di vista sociale che lavorativo, è gravemente limitante! Per cui è fondamentale avere cura del nostro intestino!

ALLEATI INSOSPETTABILI. A gli occhi di molti può sembrare una battuta, ma questi alleati si chiamano batteri. Sì: sono tantissimi e svolgono numerosissime  funzioni. Il nostro intestino è popolato da una serie di batteri, ovvero degli organismi, positivi (che sono in grado di svolgere azioni benefiche) e negativi (responsabili di problematiche) che insieme formano la flora batterica intestinale. È fondamentale mantenere l’equilibrio tra queste due specie, in quanto una alterazione può portare ad una serie di situazione spiacevoli, tra cui quelle sopracitate.

CAUSE FREQUENTI DI QUESTA ALTERAZIONE? Questo sistema  può essere influenzato da svariati fattoriquali l’età, i farmaci (esempio antibiotici), stili di vita e l’alimentazione.

QUALI ESAMI FARE? Oggigiorno abbiamo a disposizione esami non dolorosi e caratterizzati dalla facilità di raccolta del campione. Per esempio, l’esame delle urine (disbiosi, ovvero una condizione di alterazione della flora batterica intestinale) è un modo semplice  per venire a conoscenza dell’alterazione o meno della flora intestinale. Per coloro che lo ritenessero opportuno è disponibile un ulteriore esame, più approfondito, che si realizza attraverso la raccolta di feci e urine (disbiosi) e che ci permette di avere un quadro più completo e complessivo dello stato del nostro tubo digerente.

Caffeina nella performance sportiva

di Dr Sacha Sorrentino, Nutrizionista IMBIO

La caffeina è una sostanza dall’effetto stimolante, appartenente alla famiglia delle metilxantine, presente nei semi e frutti delle piante di caffè, cacao, the, guaranà, mate e in molti prodotti alimentari e farmaceutici. Questa sostanza viene assorbita rapidamente a livello intestinale, precisamente nell’intestino tenue e viene metabolizzata nel fegato attraverso il sistema enzimatico citocromo P450 ossidasi. Viene distribuita ai tessuti corporei dopo circa 45 minuti dall’ingestione e nell’adulto è caratterizzata da un’emivita (tempo di dimezzamento) di circa 4-5 ore. La caffeina agisce su diversi distretti del nostro organismo. Esistono centinaia di pubblicazioni nel mondo scientifico sul ruolo di questa sostanza nella pratica sportiva, per la sua capacità di: Stimolare il sistema nervoso centrale, migliorando l’attivazione dei motoneuroni; Stimolare la contrazione muscolare; Migliorare l’uso del calcio intracellulare; Diminuire la percezione della fatica e del bruciore del muscolo sottosforzo; Migliorare l’utilizzo dei grassi come componente energetico; Esercitare un effetto termogenico (principalmente nei soggetti sedentari). Moltissimi integratori o supplements contengono caffeina. Esistono bevande energetiche da assumere durante la competizione in grado di apportare fino a 180 mg di caffeina con una sola introduzione. Diversi studi hanno però evidenziato che la capacità di ciascuno di noi di metabolizzare la caffeina in modo efficiente o meno dipende dall’assetto del genotipo del gene CYP1A2, responsabile della sintesi dell’enzima citocromo p450-1 a 2. La presenza o assenza della variante genetica favorevole determina la capacità di smaltimento della sostanza. La variante sfavorevole determina infatti un rallentamento dell’assorbimento del principio attivo della caffeina e un accumulo di questa sostanza.
Un eccesso di caffeina, può infatti avere effetti negativi : Sulla stimolazione del sistema nervoso centrale con mal di testa, difficoltà di concentrazione, insonnia, tremori, irritabilità; Sull’apparato muscolare: contrazioni e dolori muscolari Sull’apparato cardiocircolatorio: innalzamento della pressione sanguigna, tachicardia; Sull’apparato gastrointestinale: nausea e vomito, mal di stomaco, diarrea; Rallentando o in alcuni casi danneggiando la performance sportiva e la capacità di recupero. E’ possibile studiare il proprio profilo genetico attraverso un semplice spazzolino, in grado di prelevare delle cellule di sfaldamento della mucosa buccale. Solo così potremmo sapere come personalizzare la strategia nutrizionale ed integrazionale del nostro atleta

Benessere intestinale e sistema immunitario, cosa c’è di nuovo?

di Giuseppe DiFede, Direttore Sanitario dell’Istituto di Medicina Biologica, Milano.

Recenti scoperte, hanno messo in evidenza l’importanza dell’ambiente intestinale in relazione alla salute e all’attività del sistema immunitario.
Si è evidenziato cone l’attività degli anticorpi è legata al tipo di batteri presenti nell’intestino tenue o piccolo intestino.
Si è visto infatti che la presenza di una particolare famiglia di batteri del genere Prevotella, è correlata alla salute in generale dell’organismo, ma in particolar modo per il sistema immunitario, in quanto mantiene la tolleranza immunologica, ossia la stabilità e corretta funzione degli anticorpi nel mantenere lontano, ed eliminare se occorre, eventuali batteri o tossine presenti negli alimenti che ingeriamo.
Le abitudini alimentari che si mantengono nel tempo sono in grado di influenzare in senso positivo o negativo le funzioni e reazioni degli anticorpi.
Ad esempio, persone che seguono una dieta ricca in proteine, soffrono spesso di stipsi o fermentazione di sostanze derivate dalla putrefazione dei batteri, conosciute con il nome di scatolo.
Mentre una dieta ricca in carboidrati e sostanze lievitanti e/o dolci, sono più predisposti a produrre sostanze di tipo fermentanti, ossia indicano e indoli.
La conseguenza sulla funzione intestinale è evidente, nel primo caso avremo pancia gonfia in generale con tendenza alla stipsi e a volte dissenteria; nel secondo caso avremo pancia gonfia nella zona centrale e bassa dell’addome, con tendenza alla dissenteria, meteorismo e flatulenza.
In ogni caso, la salute intestinale e di conseguenza, quella del sistema immunitario, risulta compromessa.
I ricercatori hanno analizzato il microbiota di soggetti con patologie autoimmuni come la sclerosi multipla.
Dai risultati ottenuti, si è visto che prima di tutto i malati con progressione di malattia, in questo caso la sclerosi multipla, mostravano un rapporto prevotella/bacteroides basso.
Mentre nei soggetti analizzati con rapporto prevotella/bacteroides alto, la malattia era stabile con benessere globale del soggetto.
I batteri patogeni presenti nell’intestino, devo essere percentualmente inferiori rispetto ai batteri buoni.
Quando questo rapporto si altera, si ha come effetto la produzione di sostanze infiammatorie in grado di agire al di fuori dell’intestino, in regioni extra addominali, raggiungendo strutture vulnerabili come le articolazioni, muscoli, tendini, nervi, sistema nervoso centrale etc.
La sintomatologia spesso è extra addominale, ma la causa deriva da una alterata funzione intestinale.
Questi studi inoltre, hanno fatto luce sull’importanza del sistema linfatico intestinale e il rapporto che esso contrae con la
mucosa intestinale.
In breve, le alterazioni della mucosa intestinale, l’aumento della permeabilità della mucosa e l’attivazione degli anticorpi sottostanti, possono scatenare una reazione immunitaria avversa, diretta contro strutture del proprio organismo.
Cioè si attiva l’auto immunità e con essa una serie di disturbi correlati alle zone interessate dal processo infiammatorio.
Possiamo infine conoscere lo stati di salute del microbiota?
Oggi siamo in grado di analizzare i batteri presenti nell’intestino ( attraverso l’analisi delle feci con metodiche di biologia molecolare di altissimo livello), conoscere il tipo di microorganismi prevalenti, e di conseguenza consigliare il tipo di alimentazione più idonea.
Lo scopo è quello di mantenere la salute il più a lungo possibile, nella prevenzione di malattie intestinali o del sistema immunitario.
Nei casi dove questo equilibrio si è rotto, causando una patologia che coinvolge il sistema immunitario, cercare le soluzioni per ripristinarlo e mantenerlo nella sua funzione fisiologia.

Sai cosa sono le intolleranze alimentari?

di Alessio Tosatto, Nutrizionista IMBIO

Spesso ci capita di soffrire di disturbi generali, ma ricorrenti e persistenti come gonfiore, stitichezza, mal di testa e stanchezza cronica. Questi disturbi si protraggono per anni, senza trovare alcun sollievo dalle cure e senza immaginare che tutto ciò potrebbe essere la conseguenza di un’intolleranza alimentare. Fattori come stress, terapie farmacologiche, infezioni batteriche, virali o micotiche possono abbassare il livello di tolleranza e difesa, favorendo lo sviluppo di infiammazioni dovute al cibo. Questi fenomeni sono però sempre associati ad abitudini alimentari scorrette: l’intolleranza alimentare è infatti una reazione avversa causata dall’eccessiva introduzione nel nostro corpo della stessa sostanza, ad esempio un alimento. Quando questi cibi non tollerati vengono assunti con elevata frequenza, si crea un accumulo di sostanze che danno luogo a diversi disturbi. L’organo coinvolto in prima battuta è l’intestino, che a sua volta coinvolge il sistema immunitario, scatenando reazioni infiammatorie. Le sostanze infiammatorie prodotte, poi, si riversano nel sistema circolatorio, andando a creare uno stato di infiammazione cronica in più distretti dell’organismo. La sintomatologia spazia su più fronti andando a toccare diverse aree del corpo umano: dall’apparato respiratorio (rinite, sinusite, tosse, asma), all’apparato gastro-enterico (colite, gonfiore, stitichezza, dissenteria, dolori addominali, gastrite), dall’apparato genito-urinario (cistite, prostatite, vaginite), all’apparato muscolo-scheletrico (crampi, spasmi, dolori ossei e muscolari), dall’apparato endocrinologico (variazioni di peso), alla pelle (eczema, orticaria, acne, prurito, dermatite atopica, psoriasi). Essendo il quadro sintomatologico così vasto, risulta evidente quanto sia importante conoscere le proprie sensibilità agli alimenti. Il test ALCAT mediante un semplice prelievo di sangue venoso permette di individuare l’alimento o la famiglia alimentare a cui si è intolleranti; una gestione a rotazione impostata da esperti in nutrizione può portare ad un miglioramento della sintomatologia in tempi brevi. Una successiva rieducazione alimentare permette di acquisire le basi per avere un’alimentazione equilibrata che consenta di sentirsi bene e a proprio agio.

Attenzione alla candida!

di Sacha Sorrentino, Nutritional Sport Expert, IMBIO

Voglia di dolci? Aumento di peso? Sensazione di gonfiore? Difficoltà digestive? Disturbi della pelle?

Dopo le abbuffate natalizie attenzione alla candida…

La candida è un fungo che fa parte della nostra flora batterica intestinale. Si localizza nelle mucose dell’intestino, dei genitali e del tratto urinario.  La sua concentrazione è regolata sia  dal sistema immunitario e dalla flora batterica intestinale che dall’alimentazione.

In condizioni di stress, il fungo può trasformarsi in patogeno, alterando l’equilibrio dell’organismo e  causando una serie di disturbi. I principali riguardano la sfera gastrointestinale e genitale: rallentamento della digestione con sensazione di gonfiore addominale, dolori del basso ventre, irregolarità intestinale con episodi di colite, prostatiti, cistiti, infezioni vaginali croniche; molti riguardano l’aspetto metabolico, con incremento del peso o al contrario perdita, in seguito al malassorbimento intestinale; altri riguardano la sfera dermatologica-immunitaria con allergie, prurito sul cuoio capelluto o eczemi.

La dieta e quindi la cura dell’alimentazione risultano utili sia nella cura della patologia che nella prevenzione. I banchetti natalizi rappresentano uno dei periodi più critici dell’anno per lo sviluppo di questo fungo. Un’alimentazione priva di fibre e ricca di prodotti raffinati, latticini e lievitati crea un ambiente di tipo fermentativo che favorisce la crescita della candida. Una delle strategie vincenti è moderare il consumo di alcolici, pane e pasta con farina 00, riso bianco o latticini freschi negli individui soggetti a candidosi e preferire il consumo di prodotti integrali e ricchi di fibre.

Oltre che con l’aspetto nutrizionale è possibile prevenire lo sviluppo di candidosi attraverso la mappatura del nostro microbiota. Tramite un analisi delle feci è possibile fare una fotografia del nostro intestino e capire di quali ceppi batterici siamo carenti e di quali abbondanti e personalizzare la cura.

Il testosterone: Un prezioso alleato di salute maschile

di Davide Iozzi, Biologo nutrizionista, esperto in nutrizione umana, collaboratore dell’Istituto di Medicina Genetica Preventiva (I.M.Ge.P.) di Milano.

Capita spesso di sentir parlare di variazioni ormonali, soprattutto di cortisolo (l’ormone dello stress) e di estrogeni, dal momento che i sintomi da carenza o eccesso di tali ormoni sono spesso visibili e compromettono la qualità di vita della persona. Meno comune è sentir parlare del dosaggio di testosterone, dal momento che è credenza comune ritenere che tale squilibrio riguardi solo coloro che soffrono di impotenza o di eccessiva perdita di capelli.  Eppure una mutata liberazione di testosterone ha conseguenze a livello locomotore, cardiovascolare, sessuale, pscichico e comportamentale.

Il testosterone, nell’uomo, viene prodotto naturalmente da cellule specializzate, chiamate cellule di Leyding, presenti nei testicoli sotto stimolo dell’ipofisi, un’area del cervello che produce un ormone stimolante chiamato LH.

La sua concentrazione nella giornata non è costante, presenta infatti un picco massimo alle 8 di mattina e tocca il minimo alle 8 di sera. Decresce inoltre con l’età, già a partire dai 30 anni.

Sintomi da carenza di questo ormone sono la diminuizione di massa muscolare e ossea, l’aumento di grasso corporeo, una scarsa produzione di globuli rossi con conseguente cattiva ossigenazione dei tessuti, aumento di pressione con conseguente aumento di rischio cardiovascolare, aterosclerosi, stanchezza, spossatezza, impotenza e depressione. In soggetti predisposti può portare anche ad un aumento di rischio di sviluppare diabete di tipo II.

Se tale carenza diventa cronica si parla di sindrome PADAM (Partial Androgen Deficiency in Aging Male), chiamata impropriamente “Andropausa”, che si manifesta con livelli molto bassi di testosterone. Tale sindrome può essere dovuta ad alterazioni fisiologiche a carico dei testicoli o a carico dell’ipofisi, spesso correlati all’avanzare dell’età. A differenza del climaterio femminile, che si concretizza in una finestra temporale ristretta, il calo di testosterone legato all’età si manifesta in forma lenta e progressiva, a partire dai 50 anni di età e porta come sintomatologia ad un aumento di peso, una riduzione della massa ossea e muscolare e alla presenza di un quadro anemico, a causa della minor produzione di globuli rossi.

La carenza di testosterone, tuttavia, si può manifestare anche in età giovanile. La porzione di ormone capace di svolgere il proprio lavoro è infatti definita “testosterone libero” ed è importante testarla nelle analisi del sangue oltre al testosterone totale, se si vuole tracciare un quadro clinico di effettiva carenza di tale ormone.

La maggior parte del testosterone, infatti, viaggia nel sangue legato ad una categoria di proteine, definite SHBG, che ne neutralizza l’efficacia di azione: testando solo il testosterone totale, quindi, si rischia di contare anche queste molecole inattive e quindi di non riuscire a diagnosticare in modo corretto l’eventuale carenza.

Da tenere a mente, infine, è la presenza di un enzima, chiamato aromatasi, prodotto dalle cellule del tessuto adiposo, capace di convertire il testosterone in estrogeno e portando ai citati sintomi da carenza di testosterone.  Tra i fattori di rischio che possono portare a tale condizione, quindi, oltre all’avanzare dell’età e alla diminuità attività dell’ipofisi, vi sono anche la presenza di una condizione di obesità o sovrappeso e il fumo di sigaretta che sono tra le cause di un aumento di aromatasi nel corpo.

Per aumentare i livelli di testosterone, oltre chiaramente alla terapia ormonale nei casi indicati o all’integrazione esogena, è possibile aumentare i livelli circolanti di questo ormone aumentando la porzione proteica nei pasti, evitando alcol, aceto, caffeina e zuccheri semplici, moderando il consumo di latticini e preferendo il consumo di frutta e verdura a basso indice glicemico.

Fino ad oggi i livelli di testosterone potevano essere misurati solo attraverso prelievo di sangue, ma grazie a nuovi e più sofisticati strumentazioni è da oggi possibile misurarlo attraverso la saliva, grazie la masticazione di un semplice tampone. Tale metodo renderà molto più semplice la rilevazione di un eventuale carenza o eccesso di testosterone.

Ultima e doverosa nota è da fare per quanto riguarda il testosterone in ambito femminile, dal momento che tale ormone non è di esclusiva produzione maschile. In questo caso un eccesso di testosterone nella donna può portare a problematiche di irsutismo, abbassamento del timbro di voce, eccessivo sviluppo muscolare, ipotrofia mammaria e anomalie mestruali.