Rappresentante dell’ Istituto di Scienze del Comportamento De Lisio, Pisa.
“Brutta/ ti guardi e ti vedi brutta/ ti senti sola e sconfitta/ e non vuoi mangiare più”, così cantava Alessandro Canino al Festival di Sanremo del 1992.
L’aspetto fisico rappresenta una delle possibili fonti di preoccupazione per molte persone ed il desiderio di risultare attraenti appare legittimo e viene costantemente rinforzato dalle convenzioni sociali. In particolare, la grande importanza attribuita all’immagine, nella civiltà contemporanea, contribuisce a giustificare ed amplificare queste preoccupazioni. Alcune ricerche condotte recentemente negli Stati Uniti hanno rilevato che oltre l’80% degli uomini ed il 90% delle donne cercano di migliorare il proprio aspetto.
Per alcune persone, l’aspetto fisico finisce con il rappresentare un’ossessione tormentosa e segreta. In questi casi, si va oltre la legittima aspirazione di curare e migliorare la propria apparenza fisica, e si viene a delineare una condizione definita come dismorfofobia o disturbo da dismorfismo corporeo.
In particolare, la dismorfofobia si caratterizza per la paura o la convinzione di avere difetti fisici, in assenza di disarmonie oggettive o comunque sproporzionate rispetto ad eventuali imperfezioni. Il soggetto affetto da dismorfofobia non è sensibile alle rassicurazioni da parte degli altri e il timore o l’idea di non essere attraente sono talmente pervasivi da ridurre in modo significativo la qualità della vita.
Le persone affette da dismorfofobia si preoccupano che il naso sia troppo lungo o deforme, la pelle rovinata, i glutei ed il seno non in armonia con la corporatura, la pancia troppo grassa o i genitali troppo piccoli. La perdita dei capelli, le asimmetrie del volto e del corpo, le rughe o i cedimenti della pelle possono diventare pensieri fastidiosi che producono grande sofferenza interiore ed interferiscono con le normali relazioni interpersonali e sociali.
I difetti presunti e le deformità immaginate rimangono a lungo preoccupazioni private che vengono comunicate ai familiari solo dopo molto tempo, quando la sofferenza e le limitazioni che impongono diventano fonte di angoscia e depressione. D’altra parte gli altri non riescono a comprendere pienamente i motivi e la portata di questo disagio e, spesso, tendono a minimizzare l’entità del problema; dall’esterno, infatti, difetti e deformità non si vedono o risultano trascurabili. Tuttavia le persone che hanno queste convinzioni soffrono moltissimo, spesso hanno gravi manifestazioni depressive, e talvolta pensano al suicidio.
Le ossessioni dei pazienti che soffrono di dismorfofobia ricordano, quindi, alcune delle preoccupazioni normali relative all’aspetto fisico, ma sono più invasive, più stabili e motivo di sofferenza estrema. Negli ultimi anni questo disturbo è divenuto oggetto di maggiore attenzione da parte di ricercatori ed operatori nel campo della salute mentale, proprio per la crescente consapevolezza della notevole entità del problema.
Nonostante non si abbiano informazioni sufficienti sulla diffusione della dismorfofobia, si ritiene che essa investa un numero sempre crescente di individui, soprattutto in età giovanile, con un impatto notevole sul piano delle conseguenze per la salute e per l’adattamento sociale.
Si calcola che in Italia oltre 500.000 persone siano affette da questo disturbo e che solo una minima parte di esse riceva una diagnosi corretta. Un numero ancora più limitato, meno del 10%, riceve un trattamento adeguato.
Non si conosce attualmente con certezza l’incidenza del disturbo, anche se alcuni studi ne stimano la prevalenza nella popolazione generale intorno allo 1 – 2%. E’ probabile, tuttavia, che esista una sottostima della prevalenza reale della dismorfofobia, in particolare delle forme non complicate da altre manifestazioni psicopatologiche, quali disturbi d’ansia o dell’umore per i quali é più frequente la richiesta di interventi medici.
Vista la crescente importanza dell’aspetto fisico nella società moderna, non è inverosimile che la prevalenza della dismorfofobia sia in aumento come si ritiene sia per altre condizioni psicopatologiche, come la bulimia e l’anoressia nervosa, nelle quali sono presenti disturbi dell’immagine corporea.
L’incidenza appare più elevata nei soggetti che richiedono trattamenti di chirurgia estetica e dermatologici.
Occorre però ricordare che la terapia che il paziente con dismorfofobia ricerca più di frequente è di tipo non psichiatrico, mirata all’eliminazione del supposto difetto fisico: praticamente ogni genere di specialista può ricevere una richiesta di aiuto da parte di un paziente con dismorfofobia, anche se quelli consultati più frequentemente sono i chirurghi estetici e i dermatologi. L’accesso del paziente a questo tipo di terapia deve essere assolutamente scoraggiato in quanto, oltre ad esporlo ad un inutile rischio operatorio o di effetti collaterali dannosi, può aumentare la possibilità di un peggioramento del quadro psicopatologico. La maggioranza dei soggetti, infatti, o non trae alcun miglioramento o subisce un aggravamento della propria sintomatologia in seguito alla somministrazione della terapia non psichiatrica. In alcuni casi la preoccupazione del paziente si sposta su di un’altra area con richiesta quindi di continui interventi di micro o macro chirurgia. L’applicazione di una terapia non psichiatrica, infine, può indurre nel soggetto la successiva comparsa di comportamenti eteroaggressivi, in particolare nei confronti del medico, accusato del mancato successo del trattamento. Per queste ragioni i chirurghi plastici, quando in qualche modo si dovessero rendere conto che le domande di intervento risultano eccessive rispetto all’entità reale del difetto, dovrebbero richiedere una valutazione psichiatrica prima di procedere con la chirurgia.
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