Uno
Da qui innumerevoli sono gli esempi che riguardano ora la cioccolata, ora il caffè, il vino nelle sue varie componenti fino alle fantasiose bacche ultimamente di moda per finire al caffè multicolore. Certamente la necessità di offrire continuamente nuovi prodotti sviluppa la fantasia: ma che c’è di vero in tutto questo? In effetti, numerosi alimenti possono avere effetti psicotropi in funzione delle sostanze che li compongono: basti pensare al caffè, alla cioccolata, al the, i quali contengono rispettivamente caffeina, teobromina e teina, sostanze notoriamente attive a livello centrale. Ciò che è necessario chiedersi, però, è se e quanto l’assunzione di questi alimenti abbia un reale influsso sugli atteggiamenti psichici e quindi sul comportamento, o quanto invece certe sensazioni e stati d’animo non siano invece determinati dal solo auto convincimento. Vediamo cosa ne pensa a proposito il dott Bertoli.
Personalmente, sulla base dell’esperienza di tanti anni di professione, non mi sento di dire né si né no: ciò che posso affermare è di non avere mai potuto riscontrare un concreto costante collegamento tra l’assunzione di certe sostanze ed un effetto successivo, basti pensare che ci sono persone che assumono un caffè alle 3 di pomeriggio sostenendo poi di non riuscire a dormire la notte, ed altre che lo assumono tranquillamente prima di coricarsi.
L’argomento diventa, a mio parere, molto più interessante se proviamo a ribaltare il concetto e ci chiediamo quanto la psiche possa invece avere influenza sui comportamenti alimentari. In questo caso si apre un capitolo dalle interessanti sfaccettature. Le diverse condizioni psichiche in cui ci possiamo trovare determinano rapporti con l’alimentazione estremamente variabili: ci si chiude lo stomaco oppure… si apre il frigorifero.
In queste occasioni non è raro associare, spesso soltanto per una mera coincidenza, un evento, uno stato d’animo o un sintomo ad uno specifico alimento. Nella maggior parte dei casi, tali concomitanze non hanno alcun razionale ma, se hanno un effetto positivo, non c’è nessun motivo per volerle sconfessare forzatamente poiché in ogni caso il loro effetto l’hanno ottenuto. Se quindi un paziente mi riferirà di prendere sonno in modo particolarmente sereno assumendo chicchi di caffè verde piuttosto che bacche di Pinocchio, lungi da me l’idea di provare a sostenere il contrario ed anzi sarà mia cura consigliarne l’ulteriore utilizzo, qualora non vi siano controindicazioni per la salute.Molto diverso invece è quando ad un comportamento alimentare, o ad un singolo alimento, si attribuiscono proprietà negative; a meno che ciò non sia assolutamente acclarato, credo sia indispensabile scalzare un concetto di questo genere. Attribuire sintomi o condizioni particolari psichiche ad un alimento o, assai peggio, a un singolo componente (lattosio, lievito…) porta nella maggior parte dei casi ad operare un’incauta selezione degli alimenti tale da poter influire, quella sì, sia sulla situazione metabolica, sia su quella psichica. E’ molto spesso un’impropria restrizione alimentare ad innescare fenomeni di intolleranza, come quella nei confronti del latte, quando se ne sospenda l’assunzione per lunghi periodi, causando una drastica riduzione della flora batterica intestinale deputata alla sua metabolizzazione. Talvolta, inoltre, questi meccanismi negativi sono determinati da terapie antibiotiche non adeguatamente supportate da successivi reintegri di fermenti, probiotici e vitamine.
Il rapporto tra alimentazione e psiche è poi ben rappresentato sia nella letteratura che nella filmografia, dove da sempre in situazioni angoscianti o depressive, si ricorre alle sostanze dolci per trovare sollievo; nella maggior parte dei casi, tuttavia, l’apparente appagamento derivato dall’assunzione di questi alimenti si trasforma in un’arma a doppio taglio, provocando un forte senso di colpa che finisce per peggiorare la condizione emotiva. Il ruolo educativo del cibo è presente nella quotidianità fin dall’infanzia, quando spesso come premio per un risultato positivo si riceve in cambio un alimento gradito, per lo più dolce. Questo atteggiamento genitoriale, se aveva ragion d’essere in epoche in cui i dolciumi erano assai rari da reperire, ora è a mio parere notevolmente pericoloso poiché penso sia molto facile il passaggio dalla gratificazione all’autogratificazione e, da questa, all’abuso. Non ho voluto, in questa occasione, soffermarmi su rapporti tra cibo e psiche che vanno bel oltre ciò che ho esposto, che interessano la patologia in senso stretto, che meriterebbero un approfondimento specifico, ma che da quanto sopra ho scritto prendono certamente i primi spunti.
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