La fobia può avere riferimenti interni (paura che succeda qualcosa che ci si immagina) oppure esterni (paura evocata solo di fronte a situazioni concrete). Ovviamente non in tutti i casi è invalidante. Anche le fobie di cose molto particolari rispondono però a criteri generali di “spavento”.
Da sapere è che la paura e la fobia non sono la stessa cosa. Avere paura, per ragioni precise di qualcosa, non significa che debba scattare una reazione d’allarme incontrollabile quando poi concretamente ci si espone. Viceversa, avere una fobia non significa che si abbia qualcosa “contro” quello che scatena la fobia. Approndiamo questo argomento con il Dott. Matteo Pacini del Centro Medico Visconti di Modrone.
Prendiamo per esempio la fobia degli uccelli, sulla base di un famoso film di Hitchcock “Uccelli”. Come spesso accade, le idee dei film “di paura” giocano sulle paure e le rappresentano, a metà tra la ricerca di sensazione e lo sfogo. In che cosa gli uccelli possono destare paura? In primo luogo sono veloci, e quindi poco controllabili, anche perché si muovono volando, e quindi in un modo estraneo a quello su cui l’uomo può prendere le misure. Hanno becco e zampe che possono ferire. Possono essere in stormo, e questo moltiplica la difficoltà di controllarli e schivarli.
E’ curioso che alcuni degli uccelli che poi suscitano più terrore siano in realtà tra i meno offensivi. La paura dei rapaci è meno diffusa della paura dei piccioni. I movimenti “a scatto” di diversi animali, che non sono indice di pericolosità, sono però istintivamente percepiti come pericolosi. Se una persona è suscettibile all’allarme, alcuni elementi possono singolarmente far scattare reazioni assolute di terrore, come appunto il movimento della testa del piccione, il ronzare dell’ape, lo squittire del topo. Un classico “corto-circuito” della fobia è quella in cui si è spaventati dalle reazioni degli animali che in realtà sono reazioni di paura da parte loro, come ad esempio l’abbaiare di un cane. Quando un animale si sente minacciato, prova a “metter paura” a chi si avvicina con espressioni esplicite, che però denotano appunto uno stato di spavento. Quando l’animale è invece intenzionato ad attaccare di sua iniziativa, per ostilità, e non è spaventato, è più spesso immobile, o fisso, o fermo in pose che non devono insospettire il nemico.
Una fobia, paradossalmente, peggiora la capacità di distinguere l’aggressività degli animali, e ci fa fuggire quando non c’è pericolo anziché quando c’è. Inoltre, se una persona reagisce in maniera scomposta, con urla e gesti rapidi e confusi di fronte ad un animale spaventato, ma senza attaccarlo, è probabile che l’animale finisca per aggredire in senso difensivo, scambiando la fobia per un tentativo di aggressione.
La terapia della fobia si basa su due vie: la prima è la cosiddetta desensibilizzazione, ovvero esporre in maniera libera la persona alla situazione che teme. Nel tempo arriverà a non temerla, purtroppo però questo implica che nell’immediato peggiorerà l’umore e il livello di ansia generale, perché la persona si sentirà in pericolo, umiliata dalla reazione che non ha potuto gestire, e convinta di non farcela mai (mentre finché evitava poteva non porsi spesso il problema). L’altra strategia è desensibilizzare a priori, cioè far arrivare la persona per gradi all’esposizione con una “corazza” maggiore, così che la reazione d’allarme non si verifichi. Ci sarà ansia e paura, ma non aumenterà a dismisura durante l’esposizione, o comunque non al punto da togliere la voglia di riprovare.
Le strategie sono farmacologiche o non, e valgono sia per le fobie specifiche (solo su alcuni oggetti. Come ad esempio alcuni animali), sia su quadri a oggetto multiplo o a tema (come la fobia sociale).
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