Osserva il gregge che pascola davanti a te: non sa che cosa sia ieri, che cosa sia oggi: salta intorno, mangia, digerisce, salta di nuovo. È così dal mattino alla sera e giorno dopo giorno, legato brevemente con il suo piacere ed il suo dispiacere, attaccato cioè al piolo dell’attimo e perciò né triste né annoiato… L’uomo chiese una volta all’animale: “Perché mi guardi soltanto senza parlarmi della felicità?” L’animale voleva rispondere e dice: “Ciò avviene perché dimentico subito quello che volevo dire” – ma dimenticò subito anche questa risposta e tacque: così l’uomo se ne meravigliò. Ma egli si meravigliò anche di se stesso, di non poter imparare a dimenticare e di essere sempre accanto al passato: per quanto lontano egli vada e per quanto velocemente, la catena lo accompagna. È un prodigio: l’attimo, in un lampo è presente, in un lampo è passato, prima un niente, dopo un niente, ma tuttavia torna come fantasma e turba la pace di un istante successivo. Continuamente si stacca un foglio dal rotolo del tempo, cade, vola via – e improvvisamente rivola indietro, in grembo all’uomo. Allora l’uomo dice “Mi ricordo”. “Friedrich Nietzsche “
Oggi, insieme a Giulia dell’Associazione L’Ombra del Platano, parliamo della Resilienza.
Ingegneri e fisici usano da sempre questo termine facendo riferimento ai materiali e alla loro capacità di assorbire urti e pressioni senza perdere la loro forma originale, assimilando nel contempo energia da rilasciare successivamente. Immaginate la palla da tennis quando a gran velocità urta le corde della racchetta. Ciò che avviene è una deformazione elastica delle corde, senza opporre resistenza e senza causare rotture alla racchetta che a sua volta colpisce di nuovo la palla sprigionando tutta l’energia incamerata. Negli ultimi anni la parola resilienza è molto in auge in ogni contesto dove c’è di mezzo l’apparato psichico e il benessere interiore. Psicologi, psichiatri, operatori olistici, maestri spirituali e persone speciali offrono, sovente, metafore equivalenti alla malleabilità del pensiero.
Il contrario della resilienza è la fragilità.
Capita a tutti di incontrare persone che hanno fatto della resilienza il loro modus vivendi, traendo beneficio da ogni intemperia occorsa. Persone quasi sempre di una certa età, che quando raccontano le tragedie della loro vita ci sembrano extraterrestri, piene di saggezza, di risorse, prive di rabbia per quanto la vita abbia infierito. Incapaci di lamentarsi e sempre pronte a condividere il loro sapere. Con il sorriso sempre pronto. Senza menzionare il rammarico ma esaltando la pace che dona l’accettazione. Persone che non hanno mai alzato bandiera bianca ma che hanno affrontato ogni catastrofe, dispiacere o ingiustizia, cogliendo l’occasione per imparare a resistere anche in situazioni sfavorevoli, difficili, imparando a riorganizzare la loro vita, invertendo la posizione dei valori sulla propria scala e accettando ciò che il loro karma ha puntualmente ed inevitabilmente proposto. Imparando a trasformare il momento buio in risorsa. Senza soccombere.
Queste persone ci fanno immaginare come abbiano proseguito inesorabili sempre verso la ricerca del meglio, senza abbandonarsi a sé stesse né tantomeno diventando vampiri energetici o fardelli per terzi. Eppure gli ostacoli, che si sono loro presentati ripetutamente, hanno contribuito anche a trasformare la loro visione della vita.
Senza incorrere in disturbi psichici rilevanti se non salutari e saltuari momenti di tristezza e lacrime.
Perché i resilienti sono creativi, selvaggiamente saggi e consapevoli che tutto passa.
Hanno il senso dello humor e si assumono la responsabilità di essere felici!
Conoscono i loro punti di forza e le loro fragilità. E ne fanno tesoro.
Hanno obiettivi e sono consapevoli di poter e saper cambiare.
E sanno che dopo il buio arriva la luce. Sempre. Inesorabilmente.
Hanno capito che dominando e dirigendo il proprio pensiero verso panorami fioriti si hanno maggiori chances per stare sereni. Diversamente da chi resta in balìa dei pensieri negativi osservando solo terreni incolti e privi di vita.
Hanno capito che è inutile piangere sul latte versato o rammaricarsi di ciò che non è stato. Risparmiano energia per cose e pensieri utili. Sanno divertirsi con niente, sanno restare a bocca aperta per qualsiasi manifestazione della natura, sanno scegliere senza pregiudizi, sanno che tutto ha un perché, concepiscono il problema e sanno anche accettarne l’assenza della soluzione. Sono propensi al nuovo, al domani, al poi.
Nella mia esperienza in questa vita ne conosco una in particolare di queste persone. Mi ha insegnato cose essenziali; attendere e godere dell’evento straordinario di una nuova foglia che spunta, saper trasformare un’azione ordinaria e banale in un’azione soave, usare la creatività per distrarre il pensiero indesiderato, guardare gli oggetti di sempre come se fosse la prima volta, amare le cose semplici, perdonare. Ma soprattutto mi ha insegnato ad affidarmi a qualcosa di superiore, ultraterreno, a cui posso affidare le soluzioni che non ho. Con la certezza che il meglio deve ancora arrivare.
E di resilienza si parla anche in ambito lavorativo.
A prescindere dalla crisi dell’ultimo periodo, la resilienza assume il ruolo di valore indispensabile
per resistere sia alle pressioni esterne di mercato e concorrenza sia alle pressioni interne legate agli inevitabili e fisiologici mutamenti del personale, delle metodiche, dell’avanzare costante di nuovi strumenti tecnologici, etc.
Fortunatamente oggigiorno le aziende possono avvalersi di professionisti che insegnano a diventare proattivi invece che reattivi. A prevenire invece che curare. A trasformare in sana sfida il momento buio. A sostituire il pessimismo con l’ottimismo. Ad adattarsi in modo flessibile senza spaventarsi.
E qui vale la pena di menzionare ancora l’importanza del pensiero positivo, dell’impegno verso la vita, della speranza come certezza. Ricordandosi che la difficoltà crea esperienza, dona strumenti ulteriori, ci consente di uscire dalla zona di comfort per esperire aspetti nuovi. Terreni per il momento.
Nessuno nasce resiliente. Tutti lo possono diventare. Chiunque può correggere la rotta.
Con la consapevolezza che siamo imperfetti (guai se non fosse così) e che l’evoluzione avviene solo in presenza di errori. Errori capiti, elaborati, trasformati.
Provate a guardarvi indietro: potrete notare quante situazioni “storte” facevano presagire scenari futuri terrificanti e che invece sono state il propulsore per positivi cambiamenti!
Gandhi, Nelson Mandela, Steve Jobs, Henry Ford e tanti altri ci possono illuminare al riguardo..
Silvia Trevaini
Videonews