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Genitori perfetti. Esistono?

famiglia_estate_picnic500Nelle dottrine psicanalitiche il rapporto fra genitori e figli è centrale e decisivo per lo sviluppo del bambino e il conseguimento della sua autonomia nel percorso evolutivo verso l’età adulta. “Tanto per ricordare alcune delle tesi più conosciute, nel complesso edipico il rapporto conflittuale con il genitore dell’altro sesso sarebbe fondamentale per la formazione del Super-Io, inteso come istanza morale; nel pensiero della Melanie Klein (1882-1960) la relazione con la madre riveste un ruolo determinante per lo sviluppo psichico del bambino e, quindi, dell’adulto. L’esperienza precoce del rapporto con la madre rappresenterebbe, per la psicanalista, la base sulla quale si articolerà la vita emotiva, affettiva e relazionale dell’individuo”, ci spiega la  Dott.ssa Cristina Toni, psichiatra del Centro Medico Visconti di Modrone.

Dott.ssa Cristina Toni

Molti concetti psicanalitici sono entrati a far parte della cultura generale ed hanno influenzato in modo capillare le dottrine psicologiche e psicopedagogiche elaborate nelle epoche successive. Talora, una superficiale assolutizzazione delle tesi psicanalitiche ha portato a trascurare altre variabili, extra-genitoriali, che di fatto intervengono nella formazione di un individuo, e a colpevolizzare i genitori per ogni comportamento deviante dei figli. Questi ultimi sarebbero come una tabula rasa, plasmabile nel bene e nel male dalle figure genitoriali. Da qui derivano i luoghi comuni per cui se un figlio fa scelte trasgressive, si droga, compie atti violenti o sviluppa una patologia psichiatrica la colpa è principalmente dei genitori: in alcuni casi perché troppo accondiscendenti e incapaci di dire no, altre volte perché eccessivamente repressivi e rigidi.

L’eccessiva colpevolizzazione dei genitori spesso è alla base di comportamenti disfunzionali dei medesimi in situazioni critiche: dalla negazione di un problema per il timore di affrontarlo e la paura di non saperlo gestire, a reazioni iperemotive che rendono difficile un dialogo costruttivo all’interno della famiglia, a tentativi goffi e inconcludenti di autodifesa.

A complicare il tutto, talora intervengono le aspettative eccessive riposte nei figli. Convinti di poter modellare la prole secondo i propri valori e di poterne fare magari uno strumento di rivalsa per i loro insuccessi, male accettano un reale o presunto fallimento. Una scelta diversa rispetto ai modelli proposti può innescare reazioni di frustrazione e talora di ostilità, compromettendo seriamente la qualità del rapporto. A questo proposito, esemplificative sono le reazioni di rifiuto e di chiusura verso le difficoltà scolastiche dei figli. Per molti genitori non è accettabile che i loro figli, a cui pensano di aver fornito tutti gli strumenti necessari, non conseguano i risultati attesi.

Significative, a questo proposito, sono le parole della scrittrice Natalia Ginzburg:

“Al rendimento scolastico dei nostri figli, siamo soliti dare un’importanza che è del tutto infondata. E anche questo non è se non rispetto per la piccola virtù del successo. Dovrebbe bastarci che non restassero troppo indietro agli altri, che non si facessero bocciare agli esami; ma noi non ci accontentiamo di questo; vogliamo, da loro, il successo, vogliamo che diano delle soddisfazioni al nostro orgoglio.

Se vanno male a scuola, o semplicemente non così bene come noi pretendiamo, subito innalziamo fra loro e noi la bandiera del malcontento costante; prendiamo con loro il tono di voce imbronciato e piagnucoloso di chi lamenta un’offesa. Allora i nostri figli, tediati, s’allontanano da noi. Oppure li assecondiamo nelle loro proteste contro i maestri che non li hanno capiti, ci atteggiamo, insieme con loro, a vittime d’una ingiustizia. E ogni giorno gli correggiamo i compiti, anzi ci sediamo accanto a loro quando fanno i compiti, studiamo con loro le lezioni…”

(Natalia Ginzburg, Le piccole virtù, pubblicato originariamente su “Nuovi Argomenti” nel 1960)

 

Di fatto, un figlio non è semplicemente la risultante di come i genitori lo hanno educato o vorrebbero che fosse; numerose variabili intervengono nella sua formazione.

Studiosi statunitensi (Buss e Plomin, 1984; Rothbart, 1989) hanno dimostrato come nei bambini, già nei primi mesi di vita, si possono individuare alcune caratteristiche temperamentali che influenzano i comportamenti e le scelte, indipendentemente dall’educazione ricevuta. In particolare, sono state messe in evidenza modalità diverse di reazione agli stimoli e capacità diverse di modulare le stesse reazioni. Circa il 15-20% di bambini sani osservati a 16 settimane di età tende a chiudersi, a divenire introverso e timido al contatto con persone, situazioni o eventi sconosciuti, mentre un 30-35% tende ad avere un approccio entrante ed estremamente aperto di fronte ad estranei e situazioni nuove. Osservazioni successive, all’ottavo anno di vita, hanno mostrato come nel 75% circa dei bambini venga mantenuta la stessa attitudine comportamentale rilevata al quarto mese (Kagan-Reznick-Snidman 1988; Kagan-Snidman 1991).

Nel medesimo contesto familiare si possono ritrovare fratelli con diverso temperamento e reazioni differenti allo stesso modello educativo; durante la crescita queste caratteristiche temperamentali tendono a persistere e a influenzare lo stile di vita. I bambini con temperamento inibito sarebbero più a rischio di depressione o ansia sociale nel corso della loro esistenza, mentre i ragazzini più estroversi ed entranti potrebbero, se non adeguatamente controllati, trovarsi coinvolti in situazioni che mettono a repentaglio la loro incolumità o indulgere a condotte aggressive.

Senza svalutare l’importanza di fattori educativi ed ambientali nella genesi dei comportamenti e delle caratteristiche della vita relazionale ed emotiva, alcune ricerche hanno dimostrato come anche l’ereditarietà giochi un ruolo determinante in tal senso.

Ovviamente, la formazione di un individuo non prescinde da esperienze fatte in ambienti diversi dalla famiglia, dalla scuola ai luoghi di ritrovo con i coetanei, talora anche virtuali. I ragazzi con caratteristiche temperamentali di estroversione e più propensi ad affrontare le novità e ad esporsi al rischio più facilmente subiscono il fascino di nuove compagnie e di quanto può sembrare alternativo e stimolante. E in questi casi, indipendentemente dall’educazione e dai modelli ricevuti in ambito familiare, talora possono finire per ritrovarsi coinvolti in situazioni al limite o al di fuori della legalità.

Alla luce di quanto esposto, si capisce che non si può pensare ad una figura genitoriale totipotente e perfetta, sia per i limiti psicologici, emotivi, culturali propri di ogni essere umano, sia per l’impossibilità di controllare tutte le variabili costituzionali ed ambientali che intervengono nella formazione e nello sviluppo di un individuo.

Sarebbe comunque auspicabile che ogni genitore fosse consapevole dei propri limiti ed avesse il coraggio di sapersi mettere in discussione, se necessario, senza negare eventuali criticità od arroccarsi in posizioni di rigido autoritarismo, ma cercando piuttosto un dialogo, alla ricerca di punti di condivisione per ravvicinare eventuali distanze. Laddove tutto questo risultasse troppo difficile, sarebbe auspicabile ricercare aiuto in figure di mediazione competenti.

Silvia Trevaini

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