La Dottoressa Cristina Toni, psichiatra del Centro Medico Visconti di Modrone, ci parla dell’abbandono e di come può essere vissuto.
Didone, regina di Cartagine, secondo la narrazione virgiliana si innamora di Enea quando il figlio Anchise si rifugia a Cartagine, prima di trovare il Lazio. In seguito, disperata per la partenza dell’eroe amato, Didone si uccide con la spada di Enea.
Medea, figlia del re della Colchide e nipote della maga Circe, si innamora di Giasone quando quest’ultimo arriva nella Colchide alla ricerca del vello d’oro, custodito da un feroce drago. Per aiutarlo nell’impresa, Medea uccide il fratello e poi si imbarca sulla nave Argo insieme a Giasone. Quando Giasone accetterà di sposare la figlia di Creonte, re di Corinto, per ottenere in cambio il trono, Medea si vendica uccidendo la promessa sposa e i figli che lei stessa ha avuto da Giasone.
Arianna si innamora di Teseo quando questi giunge a Creta per uccidere il Minotauro nel labirinto. Arianna dà a Teseo un gomitolo di lana per segnare la strada percorsa nel labirinto. Quindi Arianna fugge con lui verso Atene, ma Teseo la fa addormentare per poi abbandonarla sull’isola di Nasso. Il dolore dell’abbandono è di breve durata grazie all’arrivo di Dioniso, su un carro tirato da pantere, il quale, dopo averla vista così disperata, la vuole sposare.
L’interruzione di un legame affettivo e la perdita della persona che è stata oggetto di emozioni passionali e di sentimenti di attaccamento suscita inesorabilmente reazioni di dolore, di rabbia, di inquietudine che non tutti gli individui elaborano nello stesso modo.
Sicuramente si possono identificare alcuni modelli di risposta per molti aspetti precostituiti, automatici, potremmo dire consustanziali con l’essere umano. Già nella mitologia, le tre reazioni emotive principali alla perdita di un amore erano chiaramente delineate: Didone ha una reazione depressiva, devastante nel caso specifico, tanto da culminare nel suicidio; Medea elabora la perdita con l’attacco aggressivo e vendicativo eterodiretto; Arianna cerca di reagire con la negazione e l’allontanamento dalla memoria di un evento straziante troppo duro da tollerare, con il metodo del cosiddetto “chiodo schiaccia chiodo”. Ovviamente, nella caratterizzazione mitologica le reazioni emotive ed i comportamenti conseguenti risultano esasperati, eccessivi, volutamente amplificati, quasi a voler mettere in risalto gli aspetti più inquietanti e primordiali della psiche.
Questi modelli reattivi – depressivo, aggressivo/vendicativo, di soffocazione del dolore con una rapida sostituzione- sono di fatto condivisi dai due sessi, anche se nel genere femminile tendono a prevalere le risposte di tipo depressivo, mentre le reazioni aggressive sono più tipiche del sesso maschile.
A seguito di una perdita e di un allontanamento da una figura affettivamente importante (non solo il partner), la reazione psicologica si articola tra sentimenti di tristezza e disperazione e reazioni di rabbia, di protesta, di non accettazione. Il passaggio attraverso questi sentimenti ed emozioni consente di elaborare la perdita e di accettare quindi una nuova condizione esistenziale in assenza della figura perduta. I tempi per superare l’abbandono variano da persona a persona (solitamente non oltre i 6/12 mesi); anche l’espressione della sofferenza può variare, con sentimenti prevalentemente di tristezza o di rabbia, senza che si configurino quadri patologici.
In alcuni casi, la reazione alla perdita si può complicare con lo sviluppo di depressione: il soggetto si attribuisce tutta la colpa per la fine del rapporto, è totalmente incapace di infuturazione, non prova più piacere o interesse per le attività abituali, non è confortato dal supporto di familiari o amici, ha la sensazione che la vita abbia perso di valore; in alcuni casi questa situazione può culminare in tentativi di suicidio. All’opposto, altri individui possono sviluppare un quadro di eccitazione patologica, attribuiscono al partner tutte le colpe per la fine del rapporto, diventano rivendicativi, sono agitati e possono mettere in atto comportamenti di stalking, fino a gesti violenti ed aggressivi eterodiretti, animati dal desiderio di vendetta. Ovviamente, queste sono situazioni di gran lunga più gravi rispetto alla depressione, e si osservano di solito in soggetti con scarsa capacità di empatia, di reciprocità, i quali vivono l’abbandono come una ferita narcisistica.
L’incapacità a fare i conti con il proprio dolore, che sottende la fuga verso nuove relazioni in tempi rapidi, può sfociare nella cosiddetta mania da lutto, una condizione francamente patologica, in cui il soggetto, nonostante la perdita, si comporta come se nulla fosse successo, appare tendenzialmente euforico, disinibito, ricerca nuovi contatti, è logorroico, iperattivo.
Al di là degli eccessi patologici, se le reazioni emotive e comportamentali all’abbandono a tutt’oggi ricalcano a grandi linee i modelli di Didone, Medea e Arianna, nonostante l’enorme cambiamento dei paradigmi culturali, ciò significa che la nostra sfera emotiva ed affettiva è ampiamente influenzata e condizionata da moduli di funzionamento primordiali e precostituiti.
Di fatto, la parte più antica del nostro cervello (il cosiddetto rinencefalo ed il sistema limbico) è deputata alla modulazione dei sentimenti e delle emozioni, dalla tristezza, al piacere, alla rabbia, all’aggressività, all’attaccamento. Alcune stimolazioni significative, quali quelle correlate alla perdita e all’abbandono, andrebbero ad attivare circuiti del sistema limbico innescando reazioni emotive e comportamentali precostituite.
Il cervello razionale (corteccia) si è sviluppato milioni di anni dopo il cervello emozionale con la funzione, tra le altre, di controllare e moderare le reazioni istintive del cervello più antico. Anche se di fronte a stimoli emotivamente significativi la risposta del sistema limbico è immediata e indipendente dalle influenze culturali, al contrario di quanto si osserva in altri animali collocati ad un livello più basso della scala zoologica il cervello razionale riesce comunque a stemperare l’istintualità sostenuta dal sistema limbico, perlomeno nell’ampia maggioranza della popolazione.
Ovviamente, le risposte emozionali e comportamentali ad una perdita sono complesse e plurideterminate e numerose variabili intervengono nella loro declinazione. Se così non fosse, non si potrebbe spiegare perché, pur nell’ambito di alcuni modelli predefiniti di risposta, esista comunque una variabilità intersoggettiva di espressione della sofferenza da abbandono.
Le esperienze personali pregresse in ambito affettivo e relazionale, i modelli educativi ricevuti, la capacità di comprendere, riconoscere e gestire i propri e gli altrui stati d’animo ed emozioni (la cosiddetta intelligenza emotiva), la struttura di personalità, l’estrazione culturale influenzano in misura significativa il modo di vivere un rapporto di coppia e la reazione alla perdita.
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