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Dismorfofobia

Si chiama dismorfofobia, la fobia che nasce da una visione distorta del proprio aspetto esteriore ed è chiamata anche BDD, acronimo che indica il disordine dismorfico del corpo. Che cos’è questo disturbo? Quando ne soffriamo, cosa e  chi vediamo in realtà allo specchio? La dismorfofobia è la paura immotivata di essere brutti, di avere uno o più difetti fisici e rimanda a una distorsione dell’immagine corporea. Il problema ha origini profonde e dipende dalla percezione che abbiamo del nostro corpo, dell’immaginazione che costruiamo di noi stesse e che si definisce fin dalla prima infanzia, attraverso il tocco degli altri, le carezze, il contatto. La percezione del corpo costruisce anche i nostri confini, ci dice chi siamo, ci permette quindi di riconoscersi allo specchio e tra gli altri: infatti la dismorfofobia racconta la storia di individui che non sono stati accettati e rientra nei disturbi della percezione del pensiero. I sintomi del disturbo dismorfico corporeo causano un forte disagio, a volte veri e propri handicap:  le pazienti sono così convinte dei loro difetti da sottoporsi a estenuanti maratone sotto i ferri dei chirurghi estetici.

Vergognarsi del corpo è normale da adolescenti

La dismorfofobia è altrettanto comune tra uomini e donne. Di solito si sviluppa durante l’adolescenza, quando il corpo sta cambiando e si è più sensibile all’aspetto fisico. Ma in genere passano molti anni prima di cercare aiuti ed è possibile che, nel frattempo, si siano manifestati altri sintomi come depressione, ansia sociale, disturbo ossessivo-compulsivo. Per curarla le linee guida raccomandano psicoterapia e farmaci antidepressivi. Nell’adolescente è un disturbo quasi fisiologico: è normale non piacersi, avere parti del corpo ritenute troppo grandi, troppo piccole, non proporzionate. Quando il problema diventa patologico, si ha una vera e propria alterazione della percezione e allora il naso, per esempio, diventa così intollerabile che non è più possibile uscire di casa perché si pensa di avere una proboscide mostruosa. In ogni caso, che il paziente si accanisca sui piedi, sul naso, sul mento, sul seno, sulle cosce e su tutto il corpo, il disturbo a  radici nel mancato riconoscimento. Magari all’origine c’è stata una madre depressa, oppure un periodo passato nell’incubatrice, o forse una carenza di stimoli, ma abbiamo sempre a che fare con la fisicità compromessa. È stato disturbato l’esistere fisico, che non trova accoglienza. E per questa ragione che si trova qualcosa di mostruoso in sede, fino al punto che la dismorfofobia può diventare un disturbo psicotico che può portare a un esame della realtà alterato.

Le terapie che aiutano ad accettarsi.

 La diagnosi può essere fatta quando il disagio o l’handicap che ne deriva è invalidante, al punto che il paziente evita situazioni sociali e pubbliche, o scegli di mimetizzarsi per nascondere il difetto percepito, per esempio utilizzando make-up molto coprenti oppure abiti pesanti, avvolgenti, che celano o attenuano le forme. Chi soffre di Dismorfofobia può trascorrere diverse ore al giorno specchiandosi e ponendosi domande che non hanno risposta. Quando la malattia ha esordito a livello psicotico, può essere utile una terapia farmacologica,, per far rientrare l’alterazione del pensiero. Durante la psicoterapia, invece, si lavora sul problema della non accettazione di sé. I pazienti imparano a orientare l’attenzione lontano dall’immagine corporea, distaccandosi da quella parte del loro fisico che ha dato origine al disturbo: non è quella, infatti, che detestano, ma alcuni vissuti personali legati al rifiuto. E mentre si confrontano con le loro paure e il loro dolore abbandonando i rituali di controllo, l’ immagine comincia a perdere il suo carattere persecutorio. Sono terapie complesse perché i pazienti, che arrivano tardi dallo psichiatra dopo interventi di chirurgia estetica, tendono ad accettare i problemi di rifiuto che sono all’origine del disturbo. E anche a guarigione avvenuta rimane sempre una fragilità, e un’insicurezza legata all’immagine corporea. Un po’ come quella delle persone anoressiche che anche quando guarisco e prendono peso, restano sempre ex anoressiche e non dimenticano mai il disturbo di cui hanno sofferto.

 

Silvia Trevaini

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