Il percorso che un utilizzatore di droghe segue tipicamente, se inizia in età giovane, inizia con droghe di tipo eccitante e finisce con droghe sedative. E’ anche questione di invecchiamento del cervello, che sopporta sempre meno un effetto puramente stimolante, come quello di amfetamine e cocaina, e ricerca un bilanciamento o un effetto di euforia più calma. Non è solo una questione di “avere l’età” per certe droghe, ma anche di cambiamento che il cervello subisce nel corso degli anni: diviene sempre più sensibile agli effetti “agitanti” delle droghe, e meno in grado di riprendersi dai contraccolpi depressivi di quelle stesse sostanze. E’ come se un motore avesse sempre più bisogno di olio e tendesse a tremolare sempre di più quando si raggiungono certe velocità.
L’altro “filone” su cui c’è stata un’evoluzione a senso unico è stata la potenza delle sostanze. Sono disponibili stimolanti decine di volte più potenti, cannabinoidi decine di volte più potenti, idem per gli oppiacei. Il progresso nella sintesi farmacologica, e anche la ricerca, hanno reso più facile e chiaro come ottenere composti di potenza superiore.
In alcune zone del mondo, come ad esempio gli USA, ormai i nuovi casi di tossicodipendenza da oppiacei sono in ugual misura da droghe tradizionali (eroina per esempio) e da droghe farmaceutiche (ossicodone). Ovviamente non c’è una netta distinzione tra le due categorie, e l’eroina stessa fu a suo tempo un prodotto impiegato come farmaco, così come ancora oggi è la morfina e gli oppiacei più moderni. L’ultima di queste droghe d’attualità, quella che pare sia usata in medio-oriente col nome di “droga del combattente”, è nient’altro che tramadolo, un farmaco già disponibile e responsabile di una minoranza di casi di abuso anche dalle nostre parti.
Gli effetti di queste “superdroghe” non sono spesso neanche proponibili su larga scala, perché troppo pericolosi (la morte da arresto respiratorio con gli oppiacei, l’agitazione da cannabinoidi potenti). Alcune droghe “sperimentate” sulle piazze di spaccio (kobret) sono risultate fin troppo efficaci, cioè in grado di indurre un attaccamento talmente rapido da impedire che si formasse una clientela stabile e affidabile, pur nella tossicodipendenza. Altri oppiacei, come quelli di derivazione farmaceutica, possono essere eccessivamente pericolosi (per l’overdose), perché ne bastano piccole quantità e il limite delle dosi tossiche è materialmente difficile da calcolare con precisione.
La cosa se mai interessante è che gli utilizzatori più giovani sono convinti, almeno prima di sviluppare qualche problema, che l’oppio non abbia molto a che vedere con l’eroina (solo perché naturale e non sintetico), e che fumare sia, rispetto a iniettarsi, una sicurezza rispetto alla dipendenza. Ciò è fondamentalmente sbagliato, poiché il “buco” è tipicamente una conseguenza della dipendenza, e non il modo unico in cui si sviluppa una dipendenza. Accade però che il mercato presenta le sostanze con etichette al passo coi tempi, e cavalca mode e tendenze culturali, etichettandole come “naturali”, o magari benefiche perché anche terapeutiche, come nel caso dei cannabinoidi. Parallelamente, il mercato delle droghe non spinge assolutamente né sulle linee “naturali”, né tanto meno su quelle con proprietà terapeutiche, ma invece propone prodotti di tossicità maggiore, rincorrendo la domanda di effetti più intensi.
Non troppo lontano nel tempo, negli anni ’90, l’etichetta commerciale che funzionava era quasi opposta, e il lancio delle amfetamine “disegnate a tavolino” richiamava invece come interessante l’idea di droga sintetica, costruita appositamente per ottenere gli effetti desiderati. Cambiano le mode, cambiano i canali tramite cui far passare le droghe, senza che queste siano né nuove, né corrispondenti poi alla presentazione.
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