Obiettivo Benessere

L’Ayahuasca, la liana dell’anima

Dichiarata patrimonio culturale in Perù, l’Ayahuasca è una bevanda curativa ottenuta dall’infusione di piante provenienti dalla foresta amazzonica che da decenni attrae attenzione e interesse fuori dal suo contesto di origine per i numerosi benefici che è in grado di apportare.

Il termine Ayahuasca in quechua (lingua dei nativi americani) significa “liana dell’anima” (o degli spiriti), chiaro dunque il riferimento alla capacità di questo infuso di far trascendere avvicinando ad un mondo che solitamente non siamo in grado di percepire.

Con questo nome, che può variare in Yage, Hoasca, Daime o Caapi a seconda dei vari paesi dell’Amazzonia, si fa riferimento ad una bevanda ricavata da piante locali dal potere allucinogeno e considerata terapeutica oltre che magica. Sono stati soprattutto gli sciamani di Brasile, Bolivia, Venezuela, Perù, Colombia e Ecuador a tramandarne l’uso e, a partire dagli anni ’90, la sua fama e il suo utilizzo sono arrivati fino in Occidente.

L’ayahuasca viene preparata esclusivamente da sciamani o curanderos. Si tratta di un decotto realizzato a partire da due piante: la chacruna (Psychotria viridis) di cui si utilizzano le foglie e l’ayahuasca (Banisteriopsis caapi) di cui occorrono invece le liane. E’ proprio da queste liane, ingrediente principale della bevanda psicoattiva, che viene il nome con cui si è tramandata.

Le piante vengono fatte bollire anche per 16 ore ed è proprio grazie alla lunga cottura che si sprigionano al meglio tutti i loro principi attivi. A questo punto il decotto è diventato a tutti gli effetti “una bevanda per l’anima” come la considerano gli sciamani, il cui sapore però è abbastanza amaro e sgradevole ai più.

Fuori dell’Amazzonia l’Ayahuasca ha uno status giuridico ambiguo.

La Chacruna contiene dimethyltriptamina, o DMT, un composto psichedelico presente in natura.

Il suo uso è limitato in molti paesi e può esserne illegale il possesso (compreso negli Stati Uniti), la fornitura o la prescrizione.

Tuttavia, dal 2013 l’Ayahuasca ha goduto di un’ampia presenza al di fuori dell’Amazzonia, in gran parte grazie al lavoro svolto da Ayahuasca International: una società che offre ritiri in tutto il mondo, nei quali si consuma la sostanza.

Ho voluto approfondire l’argomento insieme a Giorgio Bogoni, che è appena rientrato da un ritiro…

Affascinato dalla possibilità di beneficiare di una “scorciatoia chimica” per mio personale Percorso di Crescita Spirituale, un paio di mesi fa ho cominciato ad informarmi sul DMT, leggendo “DMT, La Molecola dello Spirito”, il resoconto dello Studio condotto negli anni ’90 dallo psicologo americano Rick Strassman.

Di fatto, condizionato dalla pubblicità negativa fatta agli allucinogeni negli anni ’60, avevo bisogno di informazioni provenienti da un esperimento avvallato dalle stesse istituzioni che avevano frettolosamente screditato strumenti che, a detta di molti psicologi, possono rivelarsi estremamente utili in psicoanalisi e psicoterapia.

E così, tranquillizzato dal rigore scientifico del Dott. Strassman che manca ai giovanotti che fumano DMT e poi postano la loro esperienza su YouTube, sono andato alla ricerca di una struttura che mi consentisse l’accesso ad una Cerimonia con l’Ayahuasca in ragionevole sicurezza e soprattutto senza recarmi in Sud America.

Preciso che l’uso dell’Ayahuasca è consentito dalla legislazione italiana e che l’Associazione a cui mi sono rivolto non è una setta, ma una struttura riconosciuta a livello Internazionale che la utilizza a supporto della psicoterapia.

Ho scelto il ritiro più breve, un residenziale di due notti in una struttura in provincia di Torino, per soddisfare la mia curiosità, certo del mio buon equilibrio psichico.

Mi ritrovo assieme agli altri partecipanti nel tardo pomeriggio per affrontare la Cerimonia notturna a digiuno, la ritualità sciamanica è distintamente percepibile e conduce dolcemente fino al momento dell’assunzione della “toma”, il decotto contente il principio attivo, tra le 22:00 e le 23:00 di sera.

Una dose, a necessità seguita da eventuali ulteriori piccoli “rinforzi” per chi non fosse “entrato nel Processo”.

Mi sdraio in attesa che l’Ayahuasca faccia il suo effetto nella penombra della Sala Cerimoniale, la mia attenzione alla musica.

Come preannunciato, il mio stomaco rifiuta la Liana dell’Anima e, dopo poco, ha inizio il “trip allucinogeno”: ad occhi chiusi “vedo” bassorilievi estremamente complessi, in movimento e con colori molto più vividi di quelli percepibili dall’occhio umano.

Sono sorpreso che il mio cervello abbia la capacità di gestire quello spettacolo e letteralmente stupefatto quando scopro di poterlo modificare istantaneamente con la semplice volontà del pensiero!

Vedo qualcosa di simile a quello che gli Atzechi e i Maya rappresentano nelle loro incisioni, un Mondo meccanico che mi ricorda la trilogia cinematografica di Matrix; faccio conoscenza con l’aquila, il mio Animale di Potere; intravedo delle scimmie guardar fuori dall’oblò di un’astronave.

Ad un certo punto vince il sonno.

Durante la giornata successiva l’integrazione psicologica di gruppo mette in evidenza alcuni aspetti della mia personalità emersi durante l’esperienza notturna: il mio bisogno di controllo su ogni aspetto della mia Vita e il sentirmi costantemente giudicato.

La notte successiva lo stesso “set and setting” mi suscita visioni molto diverse: sorvolo architetture sconosciute, incredibilmente grandi e belle, collocate in paesaggi naturali mozzafiato; poi astronavi ed immense strutture sospese nello spazio stellare.

Il giorno successivo riconosco alcuni temi della mia Vita anche in queste immagini, certo di aver ricevuto dall’Ayahuasca ciò di cui avevo bisogno, piuttosto che ciò che volevo.

La cosa che riconosco però più sorprendente è che l’esperienza non termina con il ritiro, ma è distinguibile un sorta di “movimento” della Consapevolezza individuale almeno per tutta la successiva settimana.

Qualcosa di poco definito che può darsi che un giorno mi condurrà nuovamente a confrontarmi con la Sacra Liana alla ricerca di nuove risposte a nuove domande, quelle che oggi non sono ancora in grado di porre.

Silvia Trevaini

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