Obiettivo Benessere

Il digiuno e le funzioni cerebrali

Se prendiamo in considerazione l’evoluzione dell’umanità, in passato non si mangiava in continuazione perché il cibo non era sempre presente, e questi digiuni involontari aiutavano l’organismo rendendolo più resistente. Il nostro organismo nel corso della nostra evoluzione si è straordinariamente adattato a questa situazione durante milioni di anni.

Il Dott. Mark Mattson, è l’attuale capo del Laboratorio di Neuroscienze presso il National Institute on Aging, professore di neuroscienze presso la Johns Hopkins University, ed è uno dei più importanti ricercatori nel campo dei meccanismi cellulari e molecolari alla base di molteplici malattie neurodegenerative, come il Parkinson e il morbo di Alzheimer.

Mark e il suo team hanno pubblicato diversi articoli che dimostrano come il digiuno due volte alla settimana potrebbe ridurre significativamente il rischio di sviluppare sia il morbo di Parkinson che l’Alzheimer.

Infatti la sovralimentazione può ostacolare l’attività dell’ipotalamo, che svolge un ruolo fondamentale per il controllo del bilancio energetico del nostro organismo.

Uno studio sul digiuno intermittente, ovvero il digiunare per poco tempo ma spesso, ha dimostrato che è in grado di migliorare l’apprendimento e la memoria, e può ridurre il rischio di degenerazione delle funzioni cerebrali. Approfondiamo l’argomento insieme al nostro esperto di alimentazione fruttariana Giorgio Bogoni.

Esiste una correlazione molto stretta tra la quantità di cibo ingerito, e quindi l’entità della conseguente digestione, e la lucidità mentale.

Tutti abbiamo fatto esperienza del fatto che a un pasto abbondante segue sonnolenza e torpore, perché l’organismo deve far affluire il sangue agli organi digestivi e ne priva il corpo in genere ed il cervello in particolare.

Questo non ci sorprende ed è un meccanismo fisiologico che riconosciamo anche nel mondo animale.

All’estremo opposto, il digiuno “aguzza l’ingegno”!

Infatti, sia che si mangi molto poco, sia che non si mangi affatto costringendo il corpo alla chetosi (a consumare cioè  le risorse accumulate precedentemente), si ristabilisce lentamente la continuità dell’afflusso sanguigno al cervello, guadagnando una lucidità mentale sconosciuta all’uomo moderno.

Non c’è assolutamente da preoccuparsi di denutrire il cervello, infatti il corretto apporto di zuccheri a sostegno delle funzioni della massa cerebrale è prioritario per l’organismo ed occorrono mesi durante i quali non si mangi assolutamente nulla per arrivare a privare di risorse energetiche il centro di controllo di tutto il corpo.

Del resto, anche in termini evolutivi, non sorprende che una protratta mancanza di cibo stimoli il cervello in modo da consentirgli di sviluppare nuove strategie per procurarselo, nonché elasticità articolare, acutezza visiva e un generale buon livello di energia… tutte cose che chi ha sperimentato un lungo digiuno conosce benissimo.

La mia esperienza personale è di 4/5 giorni consecutivi di digiuno secco ancora nel 2016 (senza neppure bere acqua), a cui ho fatto seguire 3 mesi in cui ho bevuto solo liquidi ipocalorici (<500 Cal/giorno) senza mangiare assolutamente nulla e, da allora, mangio solo alla sera – una sorta di digiuno secco quotidiano di circa 22 ore.

Nel corso del digiuno secco iniziale ricordo solo un temporaneo miglioramento della vista (dopo 3 giorni potevo leggere nitidamente da vicino, nonostante la mia presbiopia da cinquantenne), mentre i 3 mesi successivi hanno manifestato un’impressionante potenziamento delle funzioni cerebrali: tutto ciò con cui mi confrontavo nella quotidianità mi sembrava “evidente e scontato”, al punto che avevo perso la simpatia di amici e collaboratori perché non riuscivo a trattenermi dal rimproverargli lentezza nel capire e nell’agire.

Adesso, dopo quasi un anno e mezzo che pratico quello che chiamo un “leggero monopasto serale” (al 90% a base di frutta), pur non beneficiando dell’acutezza mentale che ha caratterizzato i 3 mesi di liquidarismo, ho comunque un livello di attenzione molto alto, sono estremamente vigile e veloce nella comprensione di fatti e situazioni.

Inoltre noto quanto questo effetto sia cumulativo: protraendo nel tempo questo atteggiamento alimentare di “digiuno intermittente su base quotidiana”, le funzioni cerebrali sembrano migliorare sul lungo termine, quasi si riconfigurassero i percorsi preferenziali nelle connessioni tra le sinapsi.

Oserei chiamarla un’attività neuroplastica diretta da un’abitudine al consumo occasionale di cibo che si è ormai persa, ma che ha caratterizzato lo sviluppo del cervello umano nel corso dell’evoluzione.

Silvia Trevaini

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