Obiettivo Benessere

La genetica delle principali intolleranze alimentari

La genetica ha rivelato che ciascuno di noi è un individuo unico. Noi siamo diversi l’uno dall’altro tanto nell’aspetto esteriore, quanto internamente nei processi metabolici, nella capacità di metabolizzare i nutrienti o di eliminare le sostanze tossiche e soprattutto nel fabbisogno di nutrienti e di agenti protettivi. Queste differenze sono legate alla presenza di cambiamenti presenti nel DNA chiamati polimorfismi genetici o varianti polimorfiche.

Oggi, acquisendo informazioni sul proprio assetto genetico, è possibile compiere scelte nutrizionali più ponderate e più in linea con il funzionamento dell’organismo, attuando cosi terapie ad personam. È il caso delle intolleranze alimentari che, date le fondamenta genetiche, possono manifestarsi in alcune condizioni o accompagnare l’individuo per tutta la vita. Un test del DNA consente oggi di valutare la predisposizione genetica a sviluppare alcune intolleranze tra cui l’ipolattasia primaria, la sensibilità celiaca verso il glutine e quella verso l’istamina, cosi da facilitare l’attuazione di un intervento diagnostico e nutrizionale mirato al ripristino della salute intestinale e del benessere generale. Ne parliamo con Giovanni Battista Gidaro, biologo, nutrizionista e consulente di nutrigenetica, autore del trattato: “Nutrigenomica ed Epigenetica, dalla Biologia alla Clinica (Edra 2017).

Le intolleranze alimentari sono costituite da un insieme di reazioni avverse ad alimenti di diversa natura e rappresentano un problema rilevante soprattutto nei Paesi industrializzati, dove interessano più del 20% della popolazione.

Le intolleranze alimentari possono essere sommariamente suddivise in funzionali, a loro volta distinte in tossiche e non-tossiche, e in strutturali ovvero legate a cambiamenti d’organo causati da patologie o da interventi chirurgici (es. colecistectomia) che alterano la capacità di digestione e assorbimento dei nutrienti. Le intolleranze tossiche sono causate da sostanze chimiche o da tossine e micotossine presenti negli alimenti e possono esordire dopo esposizione acuta oppure cronica. Le reazioni non-tossiche includono reazioni avverse agli alimenti su base immunologica e non immunologica; quelle immunologiche possono essere allergie vere (2-5% del totale) mediate dagli anticorpi di classe IgE oppure di natura autoimmune, come ad esempio la malattia celiaca, che si caratterizza per la presenza di auto-anticorpi anti-transglutaminasi (anti-tTG). Le reazioni non-tossiche e non-immunologiche rappresentano la maggior parte delle reazioni avverse agli alimenti e comprendono diverse tipologie, tra cui quelle causate da enzimopatie, da difetti dei trasporti e dagli effetti farmacologici di additivi, coloranti e conservanti. A quest’ultimo gruppo appartengono l’intolleranza al lattosio e l’intolleranza all’istamina che unitamente alla sensibilità al glutine (celiaca e non celiaca) rappresentano le principali intolleranze alimentari per frequenza e rilevanza. L’intolleranza al lattosio colpisce circa il 50% degli italiani, la celiachia circa l’1%, (ma è noto che per ogni caso diagnosticato altri cinque restano da diagnosticare), la sensibilità al glutine non celiaca il 6% e l’intolleranza all’istamina circa l’1%, anche se quest’ultimo dato basato su uno studio austriaco, è con ogni probabilità sottostimato. I sintomi di queste intolleranze sono in buona parte sovrapponibili e comprendono mal di testa, emicrania, mal di pancia, gonfiore di stomaco, diarrea e meteorismo intestinale. E’ bene ricordare che la celiachia può manifestarsi anche con fenotipo non-classico e che non è insolito trovare bambini o adulti in sovrappeso al momento della diagnosi. Nel caso dell’intolleranza all’istamina possono essere presenti anche iperacidità gastrica, ipotensione e tachicardia, ostruzione nasale e rinorrea, broncospasmo, prurito e orticaria e persino dolori mestruali (dismenorrea). I meccanismi alla base di queste intolleranze sono diversi. L’intolleranza al lattosio è causata da un deficit di produzione della lattasi intestinale, enzima deputato alla digestione del lattosio, che può essere causata da varianti genetiche (la più frequente nel caucasico è la -13910 LCT da C>T) o da altre patologie. La celiachia invece è una reazione autoimmune con produzione di anticorpi anti-transglutaminasi tissutale (anti-tTG) e anti endomisio (EMA) che si verifica in soggetti portatori di particolari conformazioni genetiche del sistema HLA, un complesso molecolare che serve a presentare le proteine ai linfociti; i profili HLA più frequenti nella celiachia sono DQ2.5 e DQ8, ma possono anche essere riscontrati DQ2.2 e DQ7 in opportune combinazioni. L’intolleranza all’istamina è invece causata da polimorfismi genetici negli enzimi ABP1 (DAO) e HNMT che riducono la capacità totale di degradazione dell’istamina. Per tale ragione essa viene anche definita come dismetabolismo dell’istamina e poiché si manifesta in assenza di anticorpi IgE e di eosinofili, viene anche indicata con il termine di pseudoallergia. I soggetti portatori di questi polimorfismi hanno una tendenza ad accumulare istamina nei tessuti soprattutto quando consumano alimenti ricchi di istamina (es cibi fermentati o stagionati), o quando bevono bevande alcoliche (l’alcol libera istamina dai mastociti) oppure quando assumono alcuni farmaci che hanno l’effetto collaterale di ridurre ulteriormente la degradazione dell’istamina.

Perché fare il test genetico?

Conoscendo la natura dei propri geni, ci si può concentrare su quei fattori critici controllabili che possono procurare un beneficio per la salute e permettere di esprimere il proprio potenziale ottimale di salute. Questo test genetico (DNA-IstAll+®) è un test non invasivo che permette di valutare simultaneamente la suscettibilità genetica verso le intolleranze alimentari più frequenti mediante l’impiego di uno speciale tampone che viene strofinato sulla mucosa orale per raccogliere cellule della bocca contenenti il DNA, che sarà successivamente amplificato e analizzato per verificare la presenza di 15 polimorfismi genetici. Il test non è diagnostico, ma fornisce informazioni utili alla diagnosi. Nel caso della celiachia, un test negativo permette di escludere la patologia celiaca, mentre un test positivo pur non essendo indicativo di diagnosi, consente di stimare il rischio di sviluppare la malattia e di attuare approfondimenti diagnostici (esami sierologici e/o biopsia intestinale). A tale riguardo, il test genetico si rivela utile nell’individuare i casi silenti, con presenza di anticorpi sierici in assenza di danno mucosale intestinale. Bisogna comunque sempre ricordare che soggetti negativi alla celiachia possono avere la sensibilità al glutine non-celiaca. In ogni caso, il glutine non deve essere sospeso prima della diagnosi. Nel caso del lattosio, un risultato positivo è compatibile con il deficit di lattasi e in presenza di anamnesi positiva permette di seguire una dieta priva di lattosio. Per quanto riguarda l’intolleranza all’istamina un test positivo indica la tendenza ad accumulare istamina; in questo caso, l’approccio terapeutico consiste sostanzialmente nella dieta priva di istamina e nella somministrazione di antistaminici almeno nella prima fase del trattamento. Potranno essere impiegati anche nutraceutici mirati a stimolare la degradazione dell’istamina e stabilizzare il mastocita. In conclusione, questo test permette allo specialista di identificare la presenza di profili genetici compatibili con le intolleranze alimentari e di scegliere opzioni terapeutiche mirate e personalizzate sulla base delle varianti genetiche.

Per contattare il Dott. Giovanni Battista Gidaro:

cellulare 348.932.5053

email: gbgidaro@gmail.com, info@reportgenomics.com, www.reportgenomics.com

 

 

Silvia Trevaini

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