“Talvolta mi chiedo cosa penserei della mia prostata se fossi, quale sono, un uomo di 63 anni senza però essere un “addetto ai lavori”. Ci spiega il dott. Pierpaolo Graziotti della clinica Visconti di Modrone di Milano.
Se non proprio terrorizzato, credo sarei quanto meno preoccupato per il fatto di essere, come tutti i maschi peraltro, portatore di un organo che, comunque nel tempo, potrà essere per me foriero di “seri problemi”.
Ciò occorre per il fatto che l’informazione offerta dai media ed in particolare dai siti web è, non di rado, caratterizzata da sensazionalismo ed enfasi che non giovano certo a chiarire le idee al lettore.
Pur non essendo un abituale frequentatore di bar, non mi è sfuggita l’osservazione che così come i giovani, prendendo il caffè o l’aperitivo, usano parlare di ragazze o calcio, gli uomini un po’ avanti con gli anni, discutono di prostata come se tale organo fosse una sorta di spada di Damocle puntata su di loro.
Lasciando da parte la problematica del cancro, vorrei focalizzare l’attenzione sulla ipertrofia prostatica benigna che altro non è che un ingrossamento più o meno cospicuo della ghiandola che accompagna invariabilmente l’invecchiamento di ogni soggetto di sesso maschile.
Il sessantenne tipo, da poco in pensione, si presenta in ambulatorio tutt’altro che tranquillo e dice: ” ho la prostata ingrossata, pensi dottore, mi hanno detto che ha un volume doppio del normale”!
Spiegargli che questo dato anatomico, non di rado riscontro occasionale a seguito di una ecografia eseguita per altra ragione, ha di per sé, un significato molto relativo, è spesso tutt’altro che facile.
In un’era tecnologica, anche noi medici, purtroppo, siamo portati ad anteporre il parametro biochimico o l’indagine iconografica al dialogo con il paziente che spesso sarebbe da solo sufficiente a risolvere il problema ed a tranquillizzare il nostro assistito.
Ho avuto modo di osservare che talvolta siamo noi specialisti a fare discorsi del tipo:
“Sa Lei ha una prostata molto voluminosa, prima o poi le darà problemi, veda Lei se tenersela o toglierla ……..”
Una affermazione tanto capziosa non tiene conto che un aumento del volume della ghiandola, come è noto anche ai profani, può accompagnare, quasi invariabilmente, la senescenza come la calvizie, l’incanutimento e la presbiopia e, se è vero che la maggior parte dei soggetti assiste con il tempo ad una lenta progressione dei propri sintomi, è altrettanto incontestabile che ciò non occorre a tutti. Non tutti richiedono infatti un trattamento cruento tanto che la maggior parte dei soggetti muore con il proprio adenoma prostatico esattamente come chi ha l’ipertensione, il diabete alimentare, l’artrosi della colonna cervicale, la stipsi ecc..
E’ così vero ciò che la Società Europea di Urologia (European Association of Urology) ha ritenuto opportuno mettere a disposizione di tutti un sito di informazione su tale problematica in modo da evitare inutili allarmismi.
Tale autorevole fonte puntualizza che, a parte situazioni clinico-radiologiche del tutto particolari inequivocabilmente descritte, debbono essere i sintomi e l’impatto che questi hanno sul soggetto a guidare la terapia medica o chirurgica che sia.
Come è noto, “ la prostata” è causa della riduzione del vigore del getto minzionale, di aumento della frequenza con la quale il paziente desidera urinare, piuttosto che di sensazione di inadeguato vuotamento vescicale ecc..
Tali disturbi sono percepiti in modo differente dal singolo paziente. E’ ovvio che il disagio indotto dall’aumento della frequenza e dell’urgenza per la quale il paziente desidera far pipì è percepito diversamente, ad esempio, da un pastore piuttosto che da un violinista, perché il fastidio può condizionare la qualità della vita del singolo soggetto.
Questa è la ragione per la quale, indipendentemente dal volume della prostata, (colgo l’occasione per sottolineare che non vi è ragione alcuna per sottoporsi ad una noiosa ecografia transrettale!!) il trattamento medico o chirurgico che sia, deve essere condizionato, situazioni clinico/ecografiche già citate a parte, dai disturbi soggettivi del singolo paziente e non dal volume della prostata, piuttosto che da parametri ormai passati alla storia della urologia. Mi riferisco, entro certi limiti, al residuo post-minzionale piuttosto che all’aumento dello spessore della parete vescicale o alla presenza di un piccolo diverticolo di questa.
Per concludere, desidero ribadire il concetto che, il paziente con disturbi da prostatismo, è prudente sia seguito clinicamente nel tempo e, sulla base dei suoi disturbi, condivida con lo specialista il trattamento più adeguato alla sua sintomatologia. A prescindere dalle sole dimensioni della sua prostata piuttosto che dall’aspetto della sua vescica.
Per concludere, in tale occasione, egli potrà condividere con lo specialista la opportunità di uno screening diagnostico per la diagnosi precoce del cancro della ghiandola. A differenza di altre forme neoplastiche infatti, a causa della limitata affidabilità dei test diagnostici (PSA, biopsia ecc..) tale studio non è ancora consigliato, quale indagine di massa , da alcuna società scientifica”.
Silvia Trevaini
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