E’ più facile costruire bambini forti che riparare uomini distrutti.
Frederick Douglass
Dentro ognuno di noi vive quella parte infantile che siamo stati e che ancora siamo: IL NOSTRO BAMBINO INTERIORE. Che ancora oggi ci guida nella vita. Nel bene e nel male.
Jung lo ha chiamato il Bambino Divino.
Ognuno è inseparabile dal proprio bambino interiore.
Alcuni godono di ricordi e insegnamenti preziosi, vivendo l’età adulta in maniera consapevole, più o meno serena.
Altri, quelli che hanno subito traumi o shock, diventano adulti irrequieti, infelici e talvolta “disturbati”, portandosi dentro ferite mai rimarginate.
Il tema del bambino interiore si rivolge a questi ultimi: a coloro che sono stati bambini offesi, usati e poco rispettati, in lotta per sentirsi “adeguati” in mezzo agli altri.
“Ci vuole poco a far sentire inadeguato un bambino”.
Un genitore privo di strumenti, che a sua volta replica una dinamica “familiare”, ci riesce sicuramente. Senza intenzione, ignaro delle conseguenze.
Di rado mamme e papà conoscono bene i principi della pedagogia ed è molto bassa la percentuale di coloro che prima si affrancano e poi mettono al mondo un figlio”, ci spiega Giulia, fondatrice dell’Associazione L’Ombra del Platano.
Ma è estremamente importante capire che educare un figlio può risultare difficile in particolari contesti ed è sempre vero che un genitore ha fatto il meglio di ciò che sapeva fare e che anche lui probabilmente è stato un bambino “maltrattato”, vittima di altre vittime e così via.
Quando si è piccoli il genitore è l’autorità, è colui che sa qual’ è la cosa giusta, è l’adulto. Pertanto si assorbe senza filtro tutto quello che propone e insegna, con esempi che rimarranno nella memoria a lungo, in certi casi per sempre. Il genitore “ha ragione” agli occhi del bambino. Anche a fronte di atteggiamenti manipolatori, soprusi, anaffettività varie. E’ il bambino che si sente “in torto”.
La complicanza diventa incontenibile durante l’adolescenza ma è solo nell’età adulta che i più volenterosi riescono a fare il punto della situazione e a mettere in moto ingranaggi salutari.
L’infanzia ferita procura spesso un ego fuori misura.
L’ego non è altro che la risposta allo stimolo, è reazione, è energia consumata negativamente. E’ quando gli atteggiamenti sono adottati per gli “altri” e non per sé stessi. E l’ego, a differenza della crescita del SE’, si sviluppa solo in presenza di anomalie, di interferenze negative, di malesseri vissuti nei primi anni di vita. Anni nei quali si formano le convinzioni che fanno da matrice al carattere.
Se provate ad analizzare con attenzione, potete notare che a volte il cambiamento di umore o lo sprofondare in crisi non è legato alla frase che qualcuno (collega, amico, marito, etc) dice ma al collegamento con il malessere del passato che la psiche mette in atto. Come un ancoraggio.
Se ad esempio la mamma ripeteva in continuazione “fai fare a me che tu non sei capace di fare niente”, mortificando il piccolo e rendendolo sempre più insicuro, una volta diventato adulto è improbabile che riesca a tollerare qualcuno che lo reputa incapace di fare qualcosa. Per cui una semplice frase simile a quella che diceva la mamma, detta in buona fede, in senso sano, magari scherzando, può riportare la persona a sentirsi di nuovo senza valore, inadeguata.
Le emozioni sono importanti messaggi che danno la misura di come sta l’essere umano. Legate alle memoria del passato, quando sono represse e dimenticate, riescono a minacciare un episodio del presente facendo rivivere la stessa dinamica invalidante che procura tristezza, anche in presenza di un evento insignificante.
La tristezza si trasforma in rabbia e la rabbia demolisce invece di costruire, senza essere propedeutica ad alcunché.
Le emozioni vissute nell’infanzia sono sconosciute al sé adulto ma sono la base delle nostre certezze e per evitare di mischiare le emozioni represse del passato con quelle relative agli eventi del presente è utile e funzionale integrarsi con il bambino interiore per autoguarirlo.
Lui è sempre presente a livello inconscio, in attesa di ciò che ancora non ha ricevuto, del supporto, delle scuse, della protezione. Ha bisogno di sentirsi al sicuro e di dimenticare la paura e il dolore del passato
Quello seduto a cavalcioni sul cuore, che a volte si dondola triste, ancora arrabbiato, ma sempre a credito con la vita. Lo riconoscete?
Parlate con lui anche se sono passati tanti anni. Chiedetegli scusa per averlo ignorato fino ad ora.
E’ un grande atto d’amore che serve a sradicare le convinzioni limitanti ancora presenti. Serve a distinguere tra dolore antico e reazione attuale. A risanare le ferite.
Ed è comunque un viaggio straordinario quello fatto insieme al sé bambino, dove adesso lo si guarda da un’altra posizione percettiva, scorgendo tutta la sua meraviglia.
Una magica integrazione tra l’adulto e il bambino che abbiamo dentro.
Lui è in attesa.
Per essere amato, preso per mano, rassicurato.
Per stare nel mondo in armonia, per aver fiducia dell’istinto, pronto a ricevere cose belle.
Silvia Trevaini
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