Il piede è un organo molto complesso, la sua complessità e il costante e quotidiano stress meccanico a cui è sottoposto, non escludendo la facile esposizione a traumi, lo rendono frequentemente soggetto a deformazioni, a patologie dolorose di varia natura e a fenomeni degenerativi come artrosi o tendinopatie; questo peggioramento progressivo della salute e funzionalità del piede è molto più frequente in soggetti predisposti a malformazioni strutturali o biomeccaniche del piede.
Ne parliamo con il Dott. Alessandro Farnetti, ortopedico specialista in chirurgia del piede e della caviglia del Centro Medico Visconti di Modrone.
L’articolazione dell’alluce è frequentemente colpita da questi fenomeni deformativi/degenerativi, alcuni molto evidenti, come la deviazione angolare che porta all’alluce valgo, alcuni meno evidenti, come la rigidità funzionale che si ha nell’alluce limitus, ma che diventano via via più evidenti nell’alluce rigido artrosico.
Comunemente, e spesso erroneamente, quando si vede una deformazione a livello dell’articolazione dell’alluce si parla di alluce valgo, ossia la deviazione angolare fra il 1° metatarsale e l’alluce, ma molto spesso invece la deviazione angolare non è presente e la comparsa della deformazione del profilo dell’osso e dell’articolazione è causata, progressivamente, da una scorretta meccanica articolare.
Parlando di rigidità funzionale dell’alluce o alluce limitus, si intende un vizio biomeccanico caratterizzato dall’impossibilità da parte dell’articolazione metatarso falangea di dorsiflettersi durante la fase propulsiva del passo; in poche parole l’alluce è mobile con il piede in scarico ma si blocca quando deve svolgere la sua funzione nella deambulazione.
Questa patologia è generalmente di insorgenza molto subdola, l’alluce all’inizio appare esteticamente normale e il cattivo funzionamento dell’articolazione viene inconsciamente risolto dal paziente con l’esclusione dello stesso durante il cammino, non si percepisce quindi che l’alluce si blocca perché non viene più utilizzato correttamente.
Questo problema biomeccanico dell’alluce causa un susseguirsi di sintomi, spesso incostanti e migranti, all’inizio poco percepiti a livello del piede ma più spesso a livello delle gambe, del bacino e spesso della colonna vertebrale; questi disturbi sono causati proprio dall’alterazione dell’uso del piede durante il cammino con un coinvolgimento anomalo della muscolatura, una cattiva distribuzione dei carichi nel piede e una alterazione della postura.
I sintomi più frequenti, più o meno associati, sono: affaticamento e crampi muscolari alle gambe, dolori in regione glutea e lombare, dolore a un ginocchio, instabilità delle caviglie (in realtà instabilità del piede) con il passo insicuro e, a livello del piede, metatarsalgia e callosità plantari; il 5° dito e spesso anche il 4° sono deviati e sottoposti, si verificano frequenti episodi di borsite a livello della testa del 5° metatarsale, dolori nella parte laterale del piede e infine frequente comparsa di sofferenza di uno o più nervi inter-metatarsali (neurinoma di Morton).
I sintomi dolorosi a livello dell’alluce sono generalmente tardivi; anche con un inconsapevole cammino in difesa, la cattiva meccanica articolare ne causa comunque una progressiva degenerazione e l’alluce, oltre a diventare sintomatico, tende a deformarsi formando un “bunion” osseo nella sua parte dorsale.
E’ quindi importante fare una diagnosi precoce: una attenta visita, l’attenzione alla storia e ai sintomi del paziente, sono necessari per identificare questo problema che deve essere ben spiegato al paziente che, spesso reduce da complicati e confusi percorsi di analisi e cure, deve essere in grado di interpretarlo correttamente nel suo insieme e di decidere quale percorso terapeutico seguire. A volte un corretto trattamento con sofisticati plantari e/o quello riabilitativo possono migliorare il quadro clinico ma non risolverlo.
La migliore correzione di questa frequente patologia è però, quando necessaria, quella chirurgica che può ripristinare il corretto rapporto articolare e quindi il corretto funzionamento dell’articolazione mediante un’osteotomia alla base dell’articolazione; i risultati migliori si hanno quando il problema è individuato precocemente e i danni articolari (e in altri distretti) sono ancora limitati. Con questo intervento si possono però ottenere dei miglioramenti sintomatici e funzionali anche in casi con danni avanzati prima di ricorrere all’artrodesi, cioè al blocco e al sacrificio dell’articolazione.
Silvia Trevaini
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