Conosciamo gli alimenti “light”

Non tutto il “light” è per definizione un alimento salubre. Le tipologie presenti sugli scaffali dei supermercati  sono in continua evoluzione e non è facile orientarsi in questo labirinto. Intanto che cosa s’intende per cibi “light”? Secondo la normativa europea del 2006 è “light” il prodotto con un apporto di calorie diminuito di almeno il 30% rispetto all’alimento di partenza. In questo caso il produttore può riportare in etichetta la dicitura “a ridotto apporto calorico”. In altri casi si può scrivere “a basso contenuto calorico”. In altri casi si può scrivere “a basso contenuto calorico” o “senza calorie”. Per ottenere un cibo con questa caratteristica esiste una duplice strategia: togliere gli zuccheri oppure i grassi.

A prima vista sembrerebbe tutto chiaro. Ad una rilettura più attenta della normativa, però, emergono alcune criticità. Partiamo dai prodotti a basso contenuto di zuccheri. Questi vengono sostituiti da dolcificanti quasi completamente privi di valore calorico. Tali sostanze sono più povere di calorie ma alcune di esse vengono tuttavia classificate come dannose per la salute, come nel caso del ciclamato (E592) o della saccarina (E954) in cui vari esperimenti sugli animali hanno dimostrato la cancerogenicità; o come l’aspartame ( E951), in merito al quale ci sono accesi dibattiti sui suoi effetti neurotossici. Preoccupa anche il fatto che si possa abusare dei dolcificanti con rischi conseguenti soprattutto su bambini, anziani, malati, donne in dolce attesa.

Saccarina e ciclamato  sono stati, in seguito, scagionati dall’AIRC (Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro) sul rischio cancerogenicità ma permangono dubbi sulla loro sicurezza. Soprattutto perché potrebbero aprire la strada allo sviluppo di diabete e obesità. La saccarina, in particolare, induce squilibri sulla flora batterica intestinale, con effetti potenzialmente negativi sul metabolismo del glucosio. Un’ulteriore categoria di dolcificanti molto utilizzata è costituita dai polioli (come mannitolo, xilitolo, maltiolo), usati nelle caramelle, biscotti, gomme da masticare. Hanno un contenuto calorico che è circa la metà dello zucchero, dunque un consumo eccessivo è comunque sconsigliato, e non sono privi di effetti lassativi.

Nel caso in cui invece per rendere un prodotto “light” vengano ridotti i grassi si possono utilizzare miscugli a maggior contenuto di acqua come, ad esempio, la margarina semigrassa costituita per il 40-60% di grasso vegetale e da acqua. Oppure, dei surrogati del grasso come miscele proteiche derivate dal pollo e dal siero del latte o, ancora, da miscele di carboidrati ricavate dall’amido o dalla cellulosa. Infine, i grassi possono essere sostituiti con alcuni surrogati artificiali, sostanze indigeste che non vengono assorbite dall’organismo. Gli alimenti possono così ricordare il prodotto originario, almeno nella consistenza. Anche in questi casi “a basso contenuto di grassi” sono state, però, avanzate alcune perplessità. Innanzitutto perché l’acqua può rendere più instabile il prodotto dal punto di vista microbiologico per cui si è portati ad aggiungere più conservanti. Inoltre tali prodotti di norma subiscono forti processi di trasformazione industriale: per ottenere un alimento dal gusto gradevole e che duri nel tempo sono necessari molti additivi. In questo modo vanno perdute importanti componenti come le vitamine, pregiati acidi grassi, aromi e sapori. A subirne le conseguenze sono le vitamine liposolubili (dalla A, alla D, alla E) o i Sali minerali; togliendo i grassi, riduciamo fortemente anche tali importanti principi nutrizionali. Anche il gusto del cibo può risentirne.

Le varie diciture che possiamo trovare sulle confezioni possono rivelarsi fuorvianti. Per fare un esempio, il termine “a basso contenuto di grassi” significa che, per legge, un determinato prodotto solido non ne deve contenere più di 3 grammi per 100 grammi. Benissimo, ma chi ci dice che, contemporaneamente, non siano stati aggiunti zuccheri o troppi additivi? O magari più sale per aumentare la palatabilità. Per evitare questi abbagli ci sembra opportuno seguire una strategia basic consigliata da Altroconsumo. Secondo l’associazione di consumatori è opportuno leggere in etichetta la lista degli ingredienti confrontandola con la versione tradizionale: ciò permette di capire che cosa è variato nella formulazione del prodotto, se sono presenti  additivi ed eventualmente quali. Oppure controlliamo sulla tabellina nutrizionale quante calorie sono presenti per 100 grammi di prodotto. E ci poniamo una domanda: quanto il light è davvero più ipocalorico rispetto all’alimento  di riferimento?

Non si tratta di demonizzare il “light”. La cosa davvero importante è essere consapevoli delle conseguenze delle nostre scelte alimentari. Se ben inserita nel contesto di una dieta sana, accompagnata da un giusto programma di attività fisica, questa categoria di prodotti può contribuire alla riduzione del peso corporeo con tutti i vantaggi che ciò comporta per la nostra salute. Solo e sempre “light”, però, non è una scorciatoia. Anzi, non appare proprio una scelta ragionevole.

trevaini50Silvia Trevaini

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