Il falso biologico

È ormai noto che uno stile di vita sano non possa prescindere da un’alimentazione sana e bilanciata. Ma cos’è veramente “sano”? Quando ci poniamo questa domanda è impossibile non pensare a quegli schemi detti “piramidi alimentari” che ci vengono presentati sin da piccoli, ma oggi sempre di più tendiamo ad associare al concetto di salutare anche quello di biologico.

In effetti non è importante solo quello che mangiamo, ma anche come ciò che abbiamo nel piatto è arrivato sulla nostra tavola, chi l’ha prodotto, dove e con quali metodi. Recenti ricerche di mercato indicano che la produzione e il consumo di prodotti biologici è in continuo aumento. La crescita della domanda ha portato a una conversione di svariati ettari di terreno, un dato positivo per la salute del suolo e la diversificazione del colture. Il potenziale di crescita è ancora enorme e può innescare una trasformazione profonda  dell’agricoltura, dell’alimentazione e dell’economia, con benefici per la società, i produttori e l’ambiente; un dato sicuramente incoraggiante per il nostro paese. Il biologico inoltre è un argomento che affascina chi di noi vive e lavora in una grande città. Solo l’idea evoca immagini di paesaggi campagnoli, dove la vita è ancora scandita dal ritmo delle stagioni, e dove il contadino coltiva con passione la sua terra, con la quale ha un rapporto di profonda simbiosi.

Spesso l’idea che abbiamo di cosa sia il bio è un po’ diversa dalla realtà. Innanzitutto vediamo cosa significa davvero coltivazione biologica. Va chiarito che il termine “biologico”  viene impiegato in maniera impropria, in quanto si definisce tale qualsiasi processo attuato da un organismo vegetale, animale o microbico per il suo funzionamento. In parole povere qualsiasi azione svolta da una pianta o un animale, compreso l’uomo, al fine di mantenersi in vita. La differenza sostanziale tra l’agricoltura “convenzionale” e quella detta “ biologica” sta nell’utilizzo di prodotti di sintesi chimica, ottenuti in laboratorio e poi introdotti nell’agrosistema, ovvero quella porzione di territorio fortemente influenzata dall’uomo al fine di rendere possibile la coltivazione di particolari prodotti. Nell’agricoltura convenzionale infatti si tende a far uso di un notevole quantitativo di concimi e fitosanitari ricavati da processi  industriali. Al contrario l’agricoltura biologica, fondata sul rispetto per l’ambiente e l’ecosistema, non dovrebbe fare uso di queste sostanze, nonostante siano consentiti alcuni fitosanitari industriali di origine organica. Ci sono tuttavia diverse controversie  sull’utilizzo di quest’ultimi. Basti pensare che per la produzione vinicola è ammesso l’utilizzo del verderame, un antiparassitario che è si di origine naturale, ma al contempo altamente inquinante per l’elevato contenuto di rame. Sull’effettiva qualità dei prodotti biologici va detto che effettivamente essi si dimostrano privi di residui fitofarmaceutici. Inoltre la coltivazione biologica è meno inquinante, avendo un impatto ambientale minore rispetto a quello delle coltivazioni convenzionali, e fa fronte al problema dell’impoverimento del terreno dovuto alle monocolture. Per quanto riguarda la salute del consumatore, una ricerca finanziata dall’Università di Stanford, negli USA, fa luce sul fatto che non si possano individuare significative differenze qualitative e nutrizionali tra i prodotti bio e quelli non, infatti vi sono troppi fattori da dover prendere in considerazione. Fondamentale ad esempio è il terreno scelto, che potrebbe essere già di per sé inquinato o contaminato da sostanze nocive che verrebbero assorbite dalla pianta che vi cresce o gli animali che vi pascolano. La diffusione del biologico resta comunque una realtà in crescita e la preferenza di merce bio, specialmente se a “chilometro zero”, è qualcosa di positivo per il nostro pianeta e quindi da incoraggiare. Il vero problema sorge però quando la merce venduta ha ben poco di bio. Come tutte le merci di grande consumo, anche gli alimenti bio sono soggetti a contraffazione, esiste infatti un vero e proprio business del “ falso biologico”. Il 13 giugno del 2018 aveva fatto particolarmente scalpore la notizia, riportata in principio sul Fatto Quotidiano, di un  maxi sequestro di prodotti immessi sul mercato italiano  che riportavano il marchio bio nonostante non soddisfacessero i requisiti fondamentali per averlo. Le regioni più interessate sono state l’Emilia Romagna, la Campagna e la Sicilia, per un totale di 45 aziende perquisite. Tra i prodotti sottoposti a sequestro figurano uova, legumi, frutta, verdura, ma anche carne, prosciutti e prodotti caseari. Il problema maggiore si presenta però con l’importazione di prodotti esteri. La problematica riguarda in particolare la tracciabilità di questi alimenti, un fattore importantissimo per determinare la qualità finale. Ciò che sappiamo per certo è che la Cina, così come altri stati extraeuropei, non applica i severi standard dell’Unione Europea in materia di coltivazione biologica. Se poi la materia prima importata è lavorata in uno stato europeo può essere contrassegnata con la dicitura “proveniente da stati dell’Unione Europea” e quindi immessa nuovamente sul mercato.

Come difendersi dal falso biologico? Le regole poche e semplici: acquistare  il più possibile da produttori locali e presso i mercati organizzati da Associazioni come KM0. I prodotti  a chilometro zero hanno infatti anche il vantaggio di non incidere sulla concentrazione di CO2 nell’aria dovuta al trasporto di merci estere e sostenere l’economia legata ai piccoli produttori del nostro territorio. Al supermercato preferire sempre i prodotti made in Italy o comunque  provenienti da una filiera interamente tracciabile. In conclusione quindi possiamo dire che il biologico è si un bene per noi e per il pianeta, ma soltanto se davvero biologico e, soprattutto non sottovalutare mai l’importanza della provenienza.

trevaini50Silvia Trevaini

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