Per esempio, consultando alcuni testi dei padri del deserto, gli anacoreti cristiani, possiamo trovare più di un passaggio in cui si suggerisce di “non rendere gli insegnamenti materia inerte”. È un chiaro esempio di approccio attivo alle tecniche meditative, sottolineando l’importanza della pratica e suggerendo di non fossilizzarsi sulla parole che la descrivono ma sull’atto stesso. lo chiameremmo approccio Zen, appunto, se fossimo succubi dei luoghi comuni rivolti a Oriente.
Analizziamo un termine utilizzato frequentemente dai padri della Chiesa, quindi appartenente alla cultura giudaico-cristiana, la parola “humus”, terra in lingua latina, da cui deriva “humiltas”. Le due parole, collegate dalla radice comune, servono spesso come riferimento simbolico o diretto. Anche qui possiamo notare un’indicazione concreta, semplice, che riguarda la meditazione: si esorta a rimanere ancorati alla terra (humus, appunto), ad avere un approccio umile (humilitas) utilizzando come strumento quello che di più terreno abbiamo, il corpo, per sperimentare l’assoluto qui e ora, attraverso la pratica e senza perdersi in divagazioni inutili. Conseguentemente si suggerisce di assumere la posizione seduta, per fermare la tendenza naturale al movimento, e armonizzare il ritmo della preghiera e della respirazione. Citando Giobbe sedersi a terra simboleggia il “radicamento in una dimora sicura”. Ricorda senza dubbio l’essere “stabili e comodi nella posizione” degli Yoga Sutra di Patanjali, oppure la posizione Zazen della meditazione buddhista giapponese.
Proseguendo nel gioco di rimandi e riferimenti tra una cultura e l’altra possiamo trovare concetti che generalmente associamo alle discipline orientali, come il riferimento al corpo e al respiro come strumenti “evolutivi”. Lo possiamo fare scorrendo alcuni scritti di Gregorio Palamas, arcivescovo ortodosso nonché filosofo e teologo greco del XIV secolo, quando cita gli apostoli con la frase “i nostri corpi sono il tempio dello Spirito che è in noi” oppure quando afferma “Alcuni pongono l’intelletto del cervello come una specie di acropoli, mentre altri considerano suo mezzo il centro del cuore e quello che dal cuore viene liberato dal soffio animale. Anche noi, per precisa esperienza, sappiamo che la nostra ragione non è né dentro di noi come in un vaso, dato che è incorporale, né fuori di noi, perché è legata a noi, ma si trova nel cuore che è il suo organo adatto”
Si potrebbero trovare innumerevoli indicazioni di questo genere, tra testi sacri, commenti ed esegesi del testo per non parlare dell’arte sacra, densa di simbolismi e significati profondi. Davvero affascinante e stimolo per un approfondimento e un arricchimento infinito. L’importante è saper tradurre in pratica gli insegnamenti senza perdersi in concetti e ragionamenti che hanno la loro dignità e quindi ragion d’essere, ma nell’atto del meditare devono essere necessariamente messi da parte per non essere d’intralcio. In conclusione ricordiamo l’affermazione di San Paolo “Già e non ancora” un riferimento a vivere l’istante immediato, il qui e ora delle discipline orientali, immersi nella realtà senza seguire le dispersioni della mente: il fulcro di qualsiasi pratica meditativa, che provenga dall’oriente o no.
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