In pochi mesi abbiamo conosciuto una nuova e misteriosa malattia che ha sconvolto il mondo e le nostre abitudini. Un virus, imparentato con i banali virus del raffreddore, ma ben più pericoloso di questo, un beta-coronavirus (COVID-19), si è rapidamente diffuso in tutto in tutti i paesi lasciando ovunque molte morti e conseguenze sullo stato di salute della popolazione e sull’economia.
Ne parliamo con il Dott. Roberto Sterzi, specialista neurologo del Centro Medico Visconti di Modrone.
Fin dall’inizio è apparso evidente che il virus provoca dei gravi danni ai polmoni (polmoniti interstiziali). L’acronimo SARS, comune alla precedente epidemia, quella per fortuna presto bloccata, indica proprio una Serious Acute Respiratory Sindrome. Nel corso di questi mesi ci si è però resi conto che oltre alle conseguenze respiratorie il virus colpisce anche altri organi e apparati. In particolare, un terzo dei pazienti sviluppa sintomi neurologici, talora addirittura nelle fasi iniziali della malattia. In un primo tempo si pensava che i problemi neurologici fossero il risultato dell’ipossia cerebrale conseguente all’insufficienza respiratoria, invece ora si sa che il virus può provocare danni a carico del sistema nervoso , centrale e periferico, sia direttamente, come effetto dell’infezione, che indirettamente attraverso un’esagerata risposta infiammatoria, dovuta al deragliamento del sistema immunitario e la produzione di sostanze tossiche legate all’infiammazione (citochine), o un’ alterazione della coagulazione con formazioni di trombi o di emboli.
L’attacco diretto del virus avviene attraverso il legame a particolari molecole presenti sulle membrane delle cellule (recettori ACE2) che si trovano in diversi organi fra i quali il sistema nervoso centrale, i polmoni, le arterie, il cuore, i reni e l’intestino. Questo dato ha inizialmente allarmato la comunità scientifica perché alcuni farmaci ampiamente utilizzati nell’ipertensione arteriosa (ACE inibitori) agiscono proprio su questi recettori. Diversi studi hanno tuttavia attestato che questi farmaci non costituiscono un particolare fattore di rischio per l’infezione da COVID-19 e che, quindi, nei pazienti in cura con tali farmaci questi non devono essere sospesi.
La cefalea è il sintomo neurologico più comune con una prevalenza che varia dal 6,5% al 23%, in media dell’8%. Altro sintomo relativamente comune è costituito dalle vertigini soprattutto nei pazienti in terapia intensiva.
Le persone anziane, in particolare quelle con condizioni mediche croniche preesistenti, hanno un elevato rischio di alterazioni dello stato di coscienza o di delirio nel corso dell’infezione acuta, per effetto di un’encefalopatia, ossia una compromissione diffusa dell’encefalo, relativamente comune in quelli con prognosi sfavorevole. Possono, inoltre, comparire o aggravarsi i sintomi di una coesistente demenza.
Le malattie cerebrovascolari, come l’ictus ischemico acuto, sono una delle complicanze più comuni nei pazienti anziani affetti da COVID-19 grave. Ciò può essere dovuto all’alterazione dei meccanismi anticoagulanti naturali da parte dei mediatori infiammatori e al disturbo della coagulazione. Per questo motivo nei protocolli oggi in uso viene raccomandata la somministrazione di farmaci anticoagulanti, quali l’eparina.
Sono stati descritti diversi casi di epilessia, con crisi tonico-cloniche generalizzate ricorrenti, in pazienti con COVID-19. Tutti questi casi non avevano né una storia di crisi epilettiche né un’anamnesi familiare di disturbi convulsivi. Per spiegare le crisi sono state ipotizzate il rilascio di molecole collegate all’infiammazione (quali le citochine), o un’encefalite per invasione diretta del virus nel cervello oppure una reazione avversa ai farmaci antivirali.
Nei casi più gravi, i virus possono infettare i neuroni del tronco encefalico che sono responsabili della regolazione cardio-respiratoria, causando insufficienza respiratoria e ridotta concentrazione di ossigeno nel sangue (ipossia). In questi pazienti più gravi si può innescare un pericolo circolo vizioso, sia per gli effetti della polmonite che per il deterioramento del centro di regolazione cardio-respiratoria del tronco encefalico, che portano entrambi all’ipossia.
Per quanto attiene al sistema nervoso periferico, l’anosmia (perdita dell’olfatto) e l’ageusia (perdita del gusto) sono le manifestazioni più comuni della SARS-COV-2, interessando più di un terzo dei pazienti, ma sono stati riportati anche nelle infezioni dai coronavirus precedenti (SARS, MERS). Questi sintomi si manifestano improvvisamente, possono essere presenti in soggetti asintomatici o come espressione iniziale della malattia senza altri sintomi. Le persone che all’improvviso sperimentano anosmia e ageusia potrebbero essere possibili portatori e dovrebbero isolarsi dagli altri sino all’esito del tampone. Dopo l’infezione, la maggior parte dei pazienti riacquista gradualmente il senso del gusto e dell’olfatto. Sono state proposte diverse ipotesi per spiegare l’anosmia. Secondo uno studio condotto su modelli animali, il coronavirus potrebbe diffondersi attraverso la mucosa nasale, ove sono presenti i recettori ACE-2, punto di aggancio per i virus, espressi anche nella lingua a livello delle cellule gustative, compromettendo l’integrità del neuroepitelio olfattivo e gustativo.
Sempre a livello periferico, i pazienti possono lamentare dolori muscolari intensi. Molto meno comune è la poliradicolonevrite acuta, o sindrome di Guillain-Barré, che provoca una paralisi generalizzata che richiede il trattamento con immunoglobuline o la plasmaferesi.
Vanno infine considerate le conseguenze psicologiche determinate dalla pandemia, dai periodi di isolamento, dalle conseguenze economiche, soprattutto nei bambini e negli adolescenti che si ritrovano ad affrontare l’allontanamento forzato dalla scuola e dagli amici. Sono comuni i disturbi d’ansia, l’insonnia, episodi depressivi o l’aggravamento di pre-esistenti psicosi.
Sono in corso alcuni progetti di ricerca, fra i quali alcuni italiani, finalizzati a studiare e a meglio definire le complicanze neurologiche del Covid.
In conclusione, persistendo la pandemia non vanno sottovalutati i sintomi neurologici soprattutto se si presumono contatti recenti con persone infette.
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Silvia Trevaini
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