A volte fare la spesa rappresenta una decisa presa di posizione. La spesa, specialmente al giorno d’oggi, costituisce un vero e proprio atto simbolico, in grado di apportare un significativo cambiamento. Questo perché viviamo un momento storico in cui anche andare a fare la spesa ha una preciso peso politico.
Il supermercato oggi è la risposta più comune alle necessità di tutti, dalla spesa agli acquisti non direttamente collegati al sostentamento. Quello su cui pochi riflettono, tuttavia, è che il supermercato rappresenta il tempio delle multinazionali. Le grandi compagnie producono di tutto: dai vestiti alle automobili, dai mobili all’elettronica, arrivando al cibo che mettiamo in tavola tutti i giorni. Il nostro sistema economico premia chi riesce a produrre di più in meno tempo. Questo si traduce in un abbassamento complessivo della qualità. Se nel campo dell’elettronica si traduce in smartphone che durano giusto un paio d’anni, cosa dobbiamo aspettarci dall’industria alimentare? Ovviamente una scarsa qualità. Le multinazionali impiegano OGM, pesticidi e antibiotici con lo scopo di incrementare il tasso di produzione.
Tu, in qualità di consumatore, finisci con il trovarti il carrello pieno di alimenti dalle proprietà nutritive scadenti, carichi di sostanze che, alla lunga, possono addirittura risultare nocive. Per questo la tua spesa assume un’enorme importanza: articolo dopo articolo effettui una scelta decisiva, non solo per te, ma anche per chi il cibo lo produce.
Scegliendo di acquistare prodotti biologici e sostenibili, scegli di appoggiare il piccolo produttore locale o l’artigiano. Si tratta di soggetti economici di basso profilo, lontani dai numeri e le logiche delle grandi firme. Le piccole realtà, tuttavia, sono legate a valori tradizionali, che pongono la qualità al primo posto. Se tutti scegliessimo di appoggiare la genuinità delle piccole realtà, spingeremmo verso un ritorno alla qualità. Questo si tradurrebbe in una produzione di cibo più sostenibile, che abbia a cuore il rispetto del territorio, dei lavoratori e della salute di tutti.
Ma vediamo insieme al nostro esperto di alimentazione fruttariana Giorgio Bogoni cosa sapere per fare una spesa sostenibile, salutistica e cosa mette lui nel suo carrello.
Chi ha optato per un regime alimentare fruttariano, magari persino crudista, ha già escluso dalla propria dieta la totalità delle lavorazioni industriali che vengono vendute come “cibo”, ma che di fatto sono solo una generica “massa calorica”. Private di tutte le sostanze nutritive per massimizzarne la durata sugli scaffali dei supermercati ed elaborate al punto da essere molto difficili da digerire, ci si dovrebbe chiedere se sarebbero ancora attraenti se non venissero farcite di sostanze che sviluppano dipendenza nel consumatore.
In effetti, sostenersi consumando i prodotti offerti dall’industria alimentare sollecita l’organismo imponendo un vero e proprio superlavoro. Un antico adagio ricorda infatti che la digestione di un qualsiasi alimento richiede un tempo proporzionale a quello che è stato necessario alla sua preparazione: una mela colta direttamente dall’albero viene assimilata immediatamente dall’organismo, mentre un prodotto di gastronomia estremamente elaborato pretende parecchie ore per tornare scomposto nei diversi ingredienti con i quali è stato assemblato.
Detto questo, è chiaro che occorre distinguere tra una spesa semplicemente “sostenibile per la buona Salute dell’organismo” e una che voglia contribuire anche ad aiutare le economie più deboli, destinate a contrarsi in un mercato tendente alla globalizzazione.
Se l’obiettivo è limitato al Benessere personale, io ritengo che la scelta fruttariana sia sufficiente a garantire la buona Salute, indipendentemente dalla qualità della frutta che si sceglie: una zucchina è al 99,9% una zucchina, con tutte le qualità nutritive volute da Madre Natura, nonostante l’uomo possa aver cercato di modificarne i geni o l’abbia sporcata un po’ con i pesticidi. Se diversamente si desidera perseguire anche un obiettivo etico di aiuto alle aziende che lavorano nella nicchia del biologico o addirittura della distribuzione locale a chilometro zero… beh, trovo che la decisione sia molto bella, ma non mi aspetto che il prodotto possa garantire un guadagno qualitativo proporzionale al maggior costo.
Queste considerazioni hanno ovviamente un carattere generale, perché ognuno amministra la propria disponibilità economica, ma mostra anche una specifica sensibilità verso le argomentazioni legate alla Salute e all’ambiente, e questo si traduce in un approccio estremamente personale alle tematiche trattate. Tuttavia ritengo si venga anche facilmente ingannati dalla pubblicità. Ad esempio, è solo un’operazione di marketing cercare di vendere come un prodotto “sostenibile e salutare” la carne “biologica (?) di animali allevati a terra”, perché anche gli allevamenti non intensivi hanno un costo mostruoso in termini di risorse (forse persino maggiore degli altri) e il sistema digerente del corpo umano non è comunque progettato per assimilare nessun tipo di carne!
La mia personale scelta salutistica ed eticamente corretta è molto semplice: metto nel carrello della spesa frutta e verdura, senza esagerare l’importanza delle diverse etichette che offrono garanzie sulla provenienza dei prodotti.
Silvia Trevaini
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