Gioia post divorzio: come la donna riconquista sé stessa

Tess era la maggiore di dieci figli nati da una madre passiva e da un padre etilista…Durante l’infanzia aveva subito violenza in tutte le accezioni…Quando Tess aveva 12 anni il padre morì e la madre scivolò in una grave depressione…Tess assunse sulle proprie spalle il peso della conduzione familiare…La sua unione coniugale ebbe meno successo. Tess sposò un uomo più anziano…il peso della famiglia era sempre sulle sue spalle. Il marito era alcolizzato, e quando era ubriaco diventava violento. Dopo la fine del matrimonio, Tess incappò in una serie di relazioni degradanti, tutte con uomini sposati e violenti; ogni volta che una di esse terminava, cadeva in uno stato di forte depressione. Nonostante la depressione, …Tess conservava una traccia di vitalità, un bagliore di energia nello sguardo…un piacevole misto di attesa nei confronti delle attenzioni altrui e di preoccupazione affinché il suo interlocutore si sentisse a suo agio…il bilancio della vita personale di Tess era decisamente negativo. Pensava che gli uomini non la trovassero attraente…e l’attaccamento a Jim era almeno in parte dovuto alla convinzione che nessun altro uomo l’avrebbe avvicinata.

Questo caso clinico, descritto da Kramer come la sua prima esperienza di depressione curata con Prozac (La pillola della felicità, 1994), rende bene la situazione di molte donne che per il timore di rimanere da sole accettano incondizionatamente rapporti di coppia insoddisfacenti o, peggio ancora, distruttivi. Comportamenti simili sono molto meno rappresentati nel sesso maschile, verosimilmente per ragioni ormonali ed etologiche, oltre che culturali. Nel timore dell’abbandono, alcune donne arrivano ad accettare soprusi, violenze, imposizioni, tradimenti ripetuti, talvolta negando l’evidenza.

Ne parliamo con la Dott.ssa Cristina Toni, psichiatra del Centro Medico Visconti di Modrone. L’accettazione di un rapporto malsano è spesso sostenuta da un quadro clinico di depressione cronica: mancando la capacità di credere nelle proprie forze e potenzialità, la donna accetta e subisce un partner perché convinta di non riuscire a sopravvivere da sola. Tuttavia, anche in assenza di un quadro clinico patologico conclamato, quale appunto la depressione, un assetto temperamentale di tipo depressivo può indurre una donna a subire un rapporto soverchiante e svilente. Il temperamento depressivo, pur non configurando una condizione di per sé patologica, si caratterizza per scarsa fiducia nelle proprie capacità, timore del cambiamento, paura di commettere errori, di nuocere agli altri, di arrecare dispiacere con una scelta che andrebbe a cambiare l’equilibrio di tutta una famiglia. Prigioniere delle proprie insicurezze e paure, queste donne, solitamente miti e dipendenti, sono propense all’accettazione e dotate di una grande capacità di sopportazione. In sostanza, subiscono perché limitate dalle proprie insicurezze e paure. Questa inclinazione può soffocare ogni anelito di cambiamento non solo in situazioni estreme di violenza o sopraffazione, ma ogniqualvolta si percepiscano segnali di insoddisfazione in un rapporto di coppia, per la fine di un sentimento o della capacità di condivisione di interessi o della quotidianità.

L’impossibilità di accettare l’idea che un rapporto possa finire si può ritrovare anche in donne con temperamento ciclotimico, caratterizzato da frequenti oscillazioni dell’umore, da ansia di separazione, dalla necessità di compiacere, di piacere, di avere l’approvazione degli altri. Queste donne non riescono a sopportare che il partner non sia costantemente concentrato sulla loro persona, temono di essere trascurate, non amate abbastanza, e non tollerano comportamenti che interpretano come chiari segnali di allontanamento. In questi casi, le reazioni ad un sopruso o tradimento, oggettivo o immaginato, sono molto più eclatanti. Pur trattandosi generalmente di donne dotate di sensibilità ed empatia, l’incapacità ad accettare un potenziale abbandono può innescare comportamenti aggressivi verso il partner e le presunte amanti, con estenuanti controlli, telefonate anonime, atti vandalici. Il livello di sofferenza è elevato e la capacità di giudizio è offuscata; si mettono in atto comportamenti disfunzionali al recupero di un rapporto, altamente lesivi della dignità personale, oltre che rischiosi dal punto di vista penale. Si muovono animate dalla convinzione paradossale di poter tenere legata a sé un’altra persona con metodi coercitivi, come se si potesse piegare alla propria volontà il corso imprevedibile dell’esistenza.

Anche la rigidità della personalità può contribuire a sostenere questo tipo di reazioni. Alcune persone tendono a vivere secondo rituali schematici ed abitudini prestabilite che non riescono assolutamente a modificare. Non sono capaci di ripensare una scelta di vita e di ipotizzare la possibilità di un cambiamento. Il bisogno di mantenere un assetto a tutti i costi, con alcuni punti di riferimento prestabiliti e assolutamente irremovibili, se da un lato rappresenta uno strumento per controbilanciare l’insicurezza e la scarsa autostima, d’altro lato limita gravemente la flessibilità e la capacità di adattamento ai cambiamenti e agli imprevisti. Oltretutto, in questo modo non si riesce a distinguere quanto si vuole mantenere per amore effettivo piuttosto che per incapacità di accettare una variazione della routine quotidiana.

Considerando l’aumento della vita media della popolazione e il cambiamento delle abitudini di vita degli ultimi 50 anni, con l’incremento delle possibilità di incontri e contatti fra i due sessi, dovremmo fare i conti con la possibilità che il partner si invaghisca o innamori di un’altra donna o che un rapporto si possa logorare e deteriorare. La fine di un legame invariabilmente innesca reazioni di tristezza e rabbia; tutti noi reagiamo con disappunto e afflizione ad una delusione. In alcune persone più vulnerabili e con una personalità meno strutturata la perdita e il cambiamento innescano reazioni devastanti, con un dolore pervasivo e paralizzante. L’incapacità di infuturazione e di reimpostazione della propria esistenza si associa ad un obnubilamento delle capacità di critica e giudizio che alimenta comportamenti disfunzionali e lesivi della propria dignità. La fine di un rapporto non dovrebbe essere concepita solo come fallimento di una scelta o della condivisione di un progetto, ma anche come preludio ad una fase diversa dell’esistenza, vissuta senza i vincoli della dipendenza emotiva da un partner. Purtroppo molto spesso le caratteristiche temperamentali, oltre che la formazione educativa e il bagaglio culturale, vincolano all’accettazione acritica di una relazione. Un’analisi attenta delle proprie debolezze e della qualità della relazione di coppia dovrebbe costituire il presupposto per valutare il rapporto costi/benefici di una scelta di cambiamento o di mantenimento dello status quo. La capacità di comprendere il sé e le motivazioni che sottendono scelte e comportamenti non dovrebbe essere sminuita dal timore di sovvertire un equilibrio che si vuole mantenere a tutti i costi, per la paura che al di là di quello non ci siano possibilità di promuovere l’evoluzione individuale. La consapevolezza e l’accettazione di una debolezza o di un errore di valutazione o di perseverazione in una scelta dovrebbe preludere all’acquisizione di una maggiore fiducia nelle proprie risorse e capacità di adattamento al diverso ed imprevisto che sopraggiunge nella nostra esistenza ad alterare un equilibrio precario, mantenuto a costo di sofferenze e limitazioni dell’autonomia e della possibilità di scelte consapevoli.   

(Cristina Toni
Istituto di Scienze del Comportamento De Lisio, Pisa
www.psico-educazione.it)

trevaini50Silvia Trevaini

VideoNews

 

   

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *