La dipendenza da cibo

Il comportamento alimentare è soggetto ad alcuni disturbi, in parte inquadrati in maniera precisa, come la bulimia e l’anoressia, in parte ancora poco conosciuti e descritti. Di fatto, i casi di obesità o di disagio per l’incapacità di controllare il proprio appetito sono gestiti in base all’elemento “peso corporeo”, in genere con approcci quali diete e rieducazione alimentare, oltre che terapie farmacologiche. Ne parliamo con il Dott. Matteo Pacini, psichiatra e psicoterapeuta del Centro Medico Visconti di Modrone.

In verità, molti soggetti sovrappeso che quotidianamente si confrontano e lottano contro il pensiero del cibo e falliscono nel tentativo di ignorare o controllare il proprio appetito, non traggono alcun beneficio da misure dietologiche, semplicemente perché non sono in grado di gestirle. Non si tratta di volontà ma del fatto che l’appetito e quindi il comportamento di ricerca del cibo non sono controllabili nemmeno avendo una forte motivazione al dimagrimento.

Dott. Pacini

Al contrario, spesso la dieta in queste persone esacerba pensieri e istinti riguardanti il cibo, ed è vissuta come un tentativo fallimentare ma anche odioso di sottrarre il cibo. La persona, anziché vedere ridotto il proprio appetito, che è il centro della preoccupazione, vede ridotto l’oggetto da consumare, che il cervello identifica come un elemento essenziale e irrinunciabile, per cui reagisce con un aumento della voracità e della frustrazione per l’evidente incapacità di fare quello che in condizioni normali sarebbe possibile (mangiare di meno e dimagrire).

Ma soprattutto, queste persone sanno che il problema non si esaurirà nella perdita di peso, e che il problema dell’appetito ritornerà anche dopo essere dimagriti, causando o un nuovo ingrassamento, o comunque un disagio cronico rispetto alla necessità di arginare questo aumento. Le terapie farmacologiche per il controllo dell’appetito sono efficaci nella bulimia, ma non esiste ad oggi un farmaco affidabile e sicuro per tenere l’appetito sotto controllo, che possa essere usato in maniera continuativa. La dipendenza da cibo è quindi una “nuova” patologia, di definizione recente, che tuttavia risponde al modello generale di una dipendenza, una di quelle dipendenze non direttamente chimiche.

Quadro clinico della dipendenza da cibo

Dipendere dal cibo può comprendere anche episodi di vere e proprie abbuffate, con consumo di grandi quantità di cibo, come nella classica bulimia, ma non è necessariamente così. L’alterato rapporto con il cibo, vissuto in maniera eccessivamente urgente e intensa, si può esprimere nei seguenti modi:

Mangiare più velocemente del normale, con il risultato di gustare di meno il cibo stesso.

Mangiare anche quando ci si sente pieni. Alcuni usano magari bevande o alcol o caffè per favorire un rilassamento o uno svuotamento dello stomaco in maniera da poter introdurre ancora cibo, o al limite il vomito autoindotto.

Mangiare senza avere più la capacità di distinguere tra fame e sazietà (mangiare senza fame).

Compiacersi nell’immaginarsi mentre si consuma cibo, pensare mentre si compiono altre attività a quando si andrà “finalmente” a mangiare.

Accorgersi che le proprie spese per il cibo, e anche il tempo dedicato al mangiare stanno aumentando in maniera imbarazzante.

Mangiare in maniera solitaria, con la tendenza a mangiare di meno quando si è insieme agli altri.

Sostanzialmente la dipendenza da cibo si definisce quando:

La persona desidera il cibo in maniera continua e intensa, ma di fatto la gratificazione durante il pasto non è soddisfacente, e anzi diviene fastidiosa per il dolore addominale, la vergogna e il peggioramento dell’umore e dei livelli di energia dopo i pasti, magari con l’insorgere di sonnolenza. Questi sintomi possono essere anche sfumati, in persone che magari non sono obese ma soltanto sovrappeso, e non sono evidenti dall’inizio, ma con il tempo.

La persona si trova a pensare da una parte a consumare il cibo come se fosse la cosa più gratificante della sua giornata, dall’altra a coltivare l’intenzione di eliminare il cibo dalla sua giornata, o meglio il pensiero del cibo. In alcuni momenti si può stabilire un corto-circuito mentale con l’idea che l’unico modo di sfuggire a questa “ossessione” per il cibo sia quello di mangiare abbastanza e in piena libertà.

Esistono forme eclatanti per quantità, che inducono quindi la persona a comprarsi il cibo di nascosto, a tenerlo nascosto e portarlo con sé sempre, a consumarlo di nascosto. Vi sono però anche forme subdole, dominate da questa lotta quotidiana tra appetito e intenzione di controllare il comportamento, compensate per quanto riguarda il peso dalla possibilità di saltare pasti, di fare esercizio fisico o altro.

La terapia spesso inizia con un errore fondamentale, ovvero quello di trattare questi casi come se derivassero da un appetito abnorme per il modo in cui si genera: si cerca di ripristinare un contesto normale di alimentazione, e di modulare fattori affettivi, cognitivi e quant’altro al fine di riportare l’appetito in linea con la fame, ed evitare che si associ ad altre valenze, come la gratificazione o l’automedicazione di stati depressivi.

In realtà, il dramma dei dipendenti da cibo è un appetito eccessivo, spesso fin dall’infanzia, e ogni ragionamento sul cibo e l’alimentazione non ha un grande impatto poi sul comportamento. Diversi antidepressivi che riducono l’appetito nella persona depressa/ansiosa, o curano la bulimia classica, non sono di fatto utili in queste forme. Il vantaggio che danno è spesso quello di minori sensi di colpa e una minore tendenza a rimuginare sul proprio problema, ma non producono i risultati attesi sul controllo alimentare o sul dimagrimento.

Il successo delle diete è possibile, ma temporaneo, e non è seguito da un equilibrio soddisfacente e stabile con un regime alimentare più controllato, che è vissuto comunque come una privazione o una rinuncia.

Altri approcci farmacologici per il controllo dell’appetito e della voracità, o chirurgia correttiva dell’obesità possono essere alternative percorribili per soggetti affetti da questi disturbi.

trevaini50Silvia Trevaini

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2 risposte a “La dipendenza da cibo

  1. BUON POMERIGGIO. SOLITAMENTE NON SCRIVO SU SITI INTERNET MA QUESTO E’ UN ARGOMENTO CHE MI TOCCA MOLTO DA VICINO.
    VOGLIO RIASSUMERE BREVEMENTE IL MIO CASO NELLA SPERANZA DI DARE UN CONTRIBUTO AL PROBLEMA.
    HO 47 ANNI E DA SEMPRE LOTTO CON I PROBLEMI DI PESO. ORA PESO 110 MA SONO ARRIVATA A PESARNE 119. NEL 2012 HO FATTO UNA DIETA SEGUITA DA UN NUTRIZIONISTA CHE MI HA PORTATA A PESARE 82 (SOLO DIETA!!!!! NESSUN AIUTO EXTRA TIPO PILLOLE O SIMILARI)….COME POTETE DEDURRE…..HO RIPRESO TANTISSIMI KG. PERCHE? ESATTAMENTE NON LO SO NEMMENO IO…..ALLA FINE DELLA DIETA ERO SUPER DEPRESSA…LE PERSONE MI FACEVANO I COMPLIMENTI PER IL RISULTATO OTTENUTO ED IO…..PIANGEVO SEMPRE. MI SONO QUINDI CONVINTA CHE IL TROPPO DIMAGRIMENTO MI FACEVA MALE MENTALMENTE. QUINDI MI SONO SFORZATA A MANGIARE QUALCOSA IN PIU’ E POI……..HO RICOMINCIATO AD INGRASSARE A DISMISURA.
    IL MIO PROBLEMA NON E’ LA FAME MA LA SCARSA AUTOSTIMA CHE HO….MI SENTO FALLITA, HO SEMPRE PAURA DI SBAGLIARE….AL LAVORO….A CASA….CON MIO MARITO….CON I MIEI FIGLI……E COSI’ DI NASCOSTO MANGIO…..SALUMI, DOLCI, NUTELLA, MARMELLATA ECC. MANGIO SENZA FAME E SEMPRE DI FRETTA. MI PIACEREBBE TROVARE UN MEDICO CHE MI POTESSE CURARE MENTALMENTE E POI….SONO SICURA CHE RISOLVEREI TUTTI I MIEI PROBLEMI….

  2. Salve. La ragione per cui il peso è stato ripreso…non c’è, nel senso che così avviene statisticamente, quindi lei non è una persona che stranamente ha ripreso il peso perso, è un caso “tipico”. Il peso perso con le diete tende ad essere ripreso, in alcuni studi anche con un ulteriore aumento rispetto al peso precedente. Alcuni lo riprendono subito dopo la fine del regime dietetico, altri gradualmente negli anni, ma più si spinge avanti l’osservazione, più il peso tende a risalire verso i valori pre-dieta.
    La questione è che nessuno ha mai stabilito che questo tipo di misure contengano a lungo termine l’aumento di peso, o che producano risultati stabili in assenza di un regime dietetico che prosegue. Ovviamente, anche il regime dietetico non è detto che sia salutare a lungo termine o sopportabile senza una fine, di solito la persona lo sopporta in quanto si prevede che ad un certo punto finisca.
    Per analogia con altre forme di attaccamento a stimoli gratificanti, il susseguirsi di esercizi di privazione peraltro potrebbe peggiorare il rapporto con il cibo, e in pratica remare verso il peggior controllo, anziché verso il contenimento del problema. C’è poi da considerare l’equilibrio mentale generale: ci sono persone che, per contenere pochi chili, peggiorano la propria qualità di vita e il proprio umore, legandolo strettamente alla percezione che hanno del peso e dell’aspetto fisico. Queste persone stanno peggio mentalmente, di quelle magari sovrappeso che sono dispiaciute di non riuscire a tenere un peso più basso, ma paradossalmente vivono meglio.

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