La differenza tra fame e gola

Ti sarà capitato moltissime volte di andare in cucina, aprire le ante della dispensa, rovistare un po’ alla rinfusa, in cerca di qualcosa da mangiare al volo. Per non parlare delle volte in cui sei entrato in un fornaio per comprarti qualcosa di sfizioso da mangiare al volo. In entrambi i casi siamo di fronti a degli episodi di appetito improvviso, dato che parlare di fame sarebbe inappropriato, anche da un punto di vista linguistico. Per fame, infatti, s’intende l’impulso fisiologico dell’organismo a cibarsi.

Il corpo, nel momento in cui le energie scarseggiano, attiva una serie di meccanismi biologici che ci spingono a mangiare. È un fenomeno primordiale, che affonda le radici nei nostri istinti animali. La cibazione, nel caso di vera fame, è quella più corretta e soddisfacente: nel momento opportuno si svolge il pasto e si raggiunge la sazietà. Questa condizione induce un profondo senso di soddisfazione, placando la sensazione famelica che provavi quando avevi lo stomaco vuoto. Gli appetiti di cui parlavo poco fa, invece, seguono una logica differente. Benché si tenda a generalizzare, si tratta di una sensazione di fame falsa, di natura differente da quella autentica. Potremmo dire che, quando soddisfiamo i languorini o le voglie improvvise, in realtà stiamo assecondando un capriccio psicologico che si rifà al peccato di gola. Detta semplicemente allietiamo il nostro subconscio goloso. Lo sgarro è umano, la cattiva abitudine alimentare diabolica.

Così su due piedi penserai “ma sì, tutti quanti abbiamo delle voglie ogni tanto, non c’è nulla di male”. Purtroppo devo dissentire, soprattutto stando alle statistiche, che parlano di un aumento preoccupante dei casi di obesità a livello globale. Esiste una correlazione diretta tra sovrappeso e cattive abitudini alimentari. Questi episodi di falsa fame rientrano proprio in quei vizi che, quando diventano frequenti, possono comportare dei seri rischi per la salute. In genere, infatti, gli sgarri e le voglie sono spesso legati a quello che viene anche definito cibo spazzatura. Questi alimenti sono invitanti, saporiti, saturi di zuccheri, oppure fritti ed eccessivamente salati. Una volta assaggiati il tuo palato rimane folgorato dall’intensità dell’esperienza gustativa a cui viene sottoposto. La tua mente, in seguito, intercetterà molto rapidamente qualsiasi elemento che la faccia tornare a quel piacere gustativo, così rapido e soddisfacente. Il problema viene a crearsi nel momento in cui cominci a sottovalutare la cosa, senza chiederti cosa comporti l’assunzione di quegli alimenti, assecondando ogni volta le tue voglie. Viene a crearsi un circolo vizioso, con cui si soddisfa immediatamente la voglia ma non si smette di sentirsi affamati. Questo perché la mente è il vero pozzo senza fondo incapace di saziarsi, poiché ricerca costantemente il piacere. Ho voluto approfondire l’argomento insieme al nostro esperto di alimentazione fruttariana Giorgio Bogoni, che ci ha dato la sua esperienza diretta a riguardo…

Giorgio Bogoni

La paura di “morire di fame”, pur anacronistica nel nostro Paese, ha il potere di condizionare il nostro atteggiamento alimentare e giustificare un agire che spesso si dimostra tutt’altro che salutare.

In effetti, credo che molto spesso i bisogni nutrizionali dell’organismo vengano presi come scusa per abusare del cibo in quantità e qualità: dietro alla dichiarata necessità di mangiare per sopravvivere, si nasconde in realtà il desiderio di soddisfare i propri sensi e compensare le proprie carenza emotive.

Ricordo di aver fatto esperienza di qualcosa che definisco fame in occasione di un lunghissimo digiuno ma, proprio per questo, posso dire che il vago “desiderio di mangiare qualcosa” che tutti noi conosciamo, non ha nulla a che vedere con un segnale di necessità del corpo che chiede venga soddisfatto un bisogno primario per la sopravvivenza.

Di fatto si mangia stimolati a farlo dai cicli ormonali circadiani in occasione degli orari riconosciuti come quelli “dei pasti”, si mangia alla ricerca di soddisfazione quando la Vita non ne offre, ma si mangia soprattutto perché la mente cataloga il mangiare come “attività gratificante da intraprendere quando l’attenzione non è concentrata su null’altro”. Infatti l’appetito vien mangiando e, all’opposto, quando si lavora intensamente o si è innamorati, scompare misteriosamente.

Poi indubbiamente anche l’industria alimentare fa quanto in suo potere per garantirsi la clientela e studia gli ingredienti dei prodotti sugli scaffali dei supermercati, al fine di creare una dipendenza, tanto fisica quanto psicologica, nel consumatore.

C’è da fidarsi davvero poco del nostro corpo quando “avvertiamo” il bisogno di mangiare una determinata cosa: molto probabilmente, l’organismo non sta traducendo in sensazione una necessità fisiologica, ma sta semplicemente reagendo a stimoli indotti malignamente da tutto quanto abbiamo consumato in precedenza.

Io stesso mi accorgo di essere ancora dipendente da molti cibi, nonostante siano ormai quasi 4 anni che mi autoimpongo il rigore di mangiare una sola volta al giorno e al 90% fruttariano. In particolare, sono tutt’ora soggetto al richiamo degli amidi cotti: pasta, riso, patate e prodotti da forno in genere. Confrontandomi con altre persone in cammino su un Percorso di Perfezionamento Alimentare, ho avuto conferma che è l’ultimo ostacolo da superare, ma anche che è difficilissimo liberarsi completamente da qualcosa al quale abbiamo abituato l’organismo fin dall’infanzia.

Posso però dire con soddisfazione di avere almeno la consapevolezza di come stiano le cose: mi osservo pietoso desiderare una pizza e, quando decido di cedere a questa voglia, mi riconosco nei panni di un povero drogato che non è ancora in grado di manifestare il proprio libero arbitrio, mangiando ciò che ha scelto di mangiare!

 

trevaini50Silvia Trevaini

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