Carcinoma della cervice uterina: cosa lo provoca e come prevenire

Dott.ssa Nicoletta Gavoni

Il carcinoma della cervice uterina è la seconda neoplasia più frequente nella popolazione femminile. In Italia si stimano circa 3500 nuovi casi l’anno. L’hpv ( human papilloma virus) è la condizione necessaria, anche se non sufficiente, allo sviluppo di tale tumore, che risulta essere la complicanza molto rara di una malattia a trasmissione sessuale assai diffusa ( almeno il 50 % delle donne e degli uomini sessualmente attivi acquisisce l’infezione ad un certo punto della vita. Il 70 % delle nuove infezioni si risolve entro un anno e fino al 91% entro 2 anni e solo la persistenza del virus per molti anni, può, nel 10 %  dei casi , portare a lesioni pre-cancerose). Oggi approfondiamo questo argomento insieme alla nostra esperta Nicoletta Gavoni, medico chirurgo specialista in ostetricia e ginecologia presso fondazione i.r.c.c.s. policlinico Mangiagalli e presso il centro medico Visconti di Modrone di Milano.
Esistono oltre 200 tipi di hpv di cui 40 si localizzano nell’apparato genitale femminile, maschile, nel cavo orale e nell’ano. il 70 % dei tumori del collo dell’utero è causato dai tipi di hpv 16-18.

L’acquisizione dell’infezione, come dicevo, è condizione necessaria per lo sviluppo del  cancro cervicale, tuttavia vi sono anche altri fattori che contribuiscono alla progressione delle lesioni precancerose verso il tumore, quali: la predisposizione genetica ( che non permette al sistema immunitario di sopprimere o eliminare il virus), il fumo di sigaretta ( che abbassa le difese immunitarie del tratto genitale inferiore), droghe ed alcool, lo stress, la dieta ricca di grassi e povera di vitamine,utilizzo costante di farmaci che deprimono il sistema immunitario ( cortisone, immunosoppressori, farmaci antirigetto dei trapianti, chemioterapia), il diabete mellito, l’ hiv. La maggior parte delle donne immunocompetenti,con infezione da hpv persistente, non svilupperà lesioni pre-tumorali ( entità sub cliniche , non visibili cioè ad occhio nudo e prive di sintomi ) e quand’anche si verificasse la  progressione da lesioni pretumorali a cancro invasivo, questo e’  un processo molto lento stimato in circa 10-15 anni. Quindi dato che le lesioni precancerose sono del tutto asintomatiche e’ bene sottoporsi ad esami specifici con  regolarità per poterle identificare ed eventualmente curare con piccoli interventi conservativi che rispettano la funzionalità riproduttiva della donna prevenendo il cancro invasivo ed operazioni più radicali e mutilanti.

Negli ultimi 50 anni con il diffondersi del pap test ( esame che analizza le cellule  del collo dell’utero e della vagina prelevate mediante una spatolina ed un tampone) si sono molto ridotti i casi di tumore francamente invasivo, perché tale metodica è in grado di evidenziare le cellule displasiche che lo precedono. L’effettuazione di 10 pap test tra i 30 ed i 50 anni comporta il rischio di non individuare una lesione, minore del 0,001% e pap test ripetuti ogni 3 anni  in donne dai 25 ai 64 anni consentono di diagnosticare il 90% dei cancri cervicali.

Esistono poi vari metodi per identificare il dna-rna virale e quindi l’infezione da hpv, in grado di individuare il singolo tipo o più semplicemente  i gruppi ad alto o basso rischio ( hpv test, prelievo che si effettua similmente al pap test). Esame utile per personalizzare il rischio di ogni paziente, infatti il pap test fornisce una diagnosi di anormalità cellulare, mentre il test virale rivela  l’avvenuto contatto e persistenza di un determinato hpv. Così il pap test e’ indice di malattia e l’hpv test e’ indice di rischio.

Dato che la diagnosi sicura delle lesioni precancerose è però istologica ( analisi del tessuto e non solo delle cellule) , se il pap test mettesse in luce cellule anomale, è indispensabile sottoporsi alla colposcopia, indagine indolore e non invasiva che si esegue con un ingranditore a luce polarizzata e con dei reagenti specifici, tramite la quale il medico può effettuare un prelievo bioptico mirato del tessuto del collo dell’utero ed avere così una diagnosi  definitiva per  poi impostare una terapia o dei successivi controlli . Abbiamo parlato sinora della prevenzione secondaria, quella cioè che viene affidata a controlli, esami di routine, test che servono a prevenire la comparsa della malattia. La prevenzione primaria, cioè quella che viene prima di ogni altro intervento medico, per quanto riguarda il tumore del collo dell’utero  e le lesioni causate dall’hpv  è la vaccinazione. Lo scopo della vaccinazione è quello di ridurre le patologie causate dall’hpv ( cancro, lesioni precancerose, condilomi), stimolando una risposta immunitaria con la produzione di anticorpi che neutralizzano il virus in questione e ne prevengano l’infezione.

I vaccini attualmente in commercio sono 2:

  • vaccino bivalente contro hpv 16-18, indicato in donne da 10 a 25 aa.
  • vaccino tetravalente contro hpv 16-18-6-11 ( gli ultimi due sierotipi sono la più frequente causa di condilomi genitali), indicato in donne da 9 a 45 aa.

La vaccinazione consiste in 3 dosi distinte di vaccino somministrate con iniezione intramuscolare nel deltoide. Entrambi i vaccini si sono dimostrati efficaci, sicuri e ben tollerati in tutte le età. Non serve eseguire esami particolari prima di sottoporsi a vaccinazione. Si possono vaccinare anche donne che hanno già avuto rapporti sessuali. Per concludere quindi, la strategia preventiva fondamentale riassumendo è:

-smettere di fumare, mangiare sano, limitare lo stress, fare sesso sicuro

-vaccinarsi ( entro i limiti di età)

-sottoporsi a controlli regolari e scadenziati per ridurre il rischio di lesioni che possono progredire a tumore, consentire una diagnosi tempestiva ed evitare così interventi chirurgici demolitivi.

 

Silvia Trevaini

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