La cocaina è una sostanza classificata come stimolante, ovvero qualcosa che rende più attivi, rapidi, veloci nel pensare e nel produrre pensieri, soprattutto più convinti e convincenti nei rapporti con gli altri, magari impetuosi e impulsivi. L’euforia che produce è quindi definita “attiva” al contrario del benessere riferito con sostanze narcotiche come l’eroina, che abitualmente sono viste come sostanze inebrianti per gustare un piacere passivo, nell’inattività. La cocaina è, nell’immaginario, la droga della persona che fa lavori di responsabilità o di intraprendenza (manager, ma anche nel campo dell’illegalità il criminale d’azione).
“Ci sarebbe da correggere questa visione, perché non è esatta”, spiega il Dottor Matteo Pacini, psichiatra del Centro Medico Visconti di Modrone. Diciamo che vi sono numerosi casi di consumatori di oppiacei che all’inizio della loro abitudine in realtà sono attivi e disinibiti sotto effetto di queste sostanze, e non “stonati”. La cocaina è invece tipicamente stimolante, soltanto che per alcuni questo non significa essere “su di giri”, quanto essere più concentrati e capaci di gestire compiti e stimoli impegnativi. Alcuni medicinali con proprietà simili a quelle della cocaina sono utilizzati ad esempio (d-amfetamina, metilfenidato) per curare i bambini con problemi di attenzione e iperattività improduttiva (ADHD), rendendoli meno impulsivi e distruttivi, più attenti e disponibili ad applicarsi a compiti scolastici.
La spiegazione di questi apparenti paradossi è che gli effetti cambiano nel tempo, perché il cervello esposto alle sostanze cambia per effetto delle sostanze stesse. Buona parte dei cocainomani che chiedono un trattamento sono giunti ad un consumo di cocaina solitario, assolutamente non divertente, a volte sistematicamente rischioso per la comparsa di allucinazioni, aggressività, depressione dopo l’uso. Altri “carburano” la cocaina in maniera peggiore, e provano ansia, malumore, per contrastare i quali spesso la abbinano a tranquillanti, alcol o oppiacei.
Il mito del manager che vive consumando allegramente cocaina e ad essa deve anche parte del suo successo è e rimane un mito. Alcune persone forse hanno avuto un lungo e controllato rapporto con la cocaina (la prova che grazie ad essa abbiano avuto successo non l’avremo comunque mai). La maggior parte dei consumatori di cocaina che di lavoro fanno i manager o gli imprenditori invece ne hanno effetto dannosi. La regola nell’uso di sostanze è che ciò che la sostanza all’inizio stimola poi lo “spreme”: il brio, l’inventiva, l’efficacia nei rapporti con gli altri che all’inizio può essere amplificata diventa poi un effetto intermittente, e anche troppo esplosivo, troppo gratuito. L’entusiasmo del cocainomane è illusorio, sproporzionato rispetto alla realtà delle cose, privo di sostanza e spesso si tramuta in malumore e stizza se la persona è contraddetta.
Un manager cocainomane quindi non riesce a funzionare bene (o come prima), per definizione del concetto di “dipendenza”. Può vivere di rendita per un po’. Un consumatore che non abbia sviluppato una dipendenza non dovrebbe sottovalutare che le cose cambiano. E’ ad esempio dimostrato che le funzioni intellettive di un consumatore di cocaina calano (si è “più vecchi” mentalmente di diversi anni), e – cosa più pericolosa – la percezione delle proprie capacità invece proporzionalmente aumenta. In pratica, il manager intossicato dalla cocaina pensa di lavorare meglio di quanto non faccia, e di controllare gli altri quando invece li sta facendo preoccupare.
La cocaina può amplificare la capacità di immaginare il futuro, di pensare in grande, di non concentrarsi sul possibile “ora” ma di ragionare sui risultati ancora da ottenere, cosa che fa parte dell’imprenditoria più ambiziosa. Tuttavia è invece vero che chi pensa in grande lo fa anche predisponendo “in grande” i mezzi per le operazioni in cui si lancia. Il manager “sano” lancia una palla e si prepara a riprenderla e rilanciarla: un rischio calcolato in un gioco di abilità. La cocaina trasforma spesso invece la mentalità del gioco di abilità in gioco di puro rischio, velleitario, con una palla scagliata lontanissimo in teoria, ma nel vuoto.
In conclusione, lo stereotipo della cocaina come “farmaco” autogestito per vivere sopra le righe e gestire le cose a grandi livelli è illusorio, e di regola destinato a naufragare nel suo opposto: una vita vuota di piacere e di realizzazioni, ridotta a sprazzi di divertimento sempre più scollato dalla realtà, sempre più “allestito” ad hoc, in casa propria, in un privé, di notte per le strade. Il fatto che esistano medicinali che “mimano” la cocaina in alcune delle sue caratteristiche neuro-biologiche non deve ingannare: la differenza tra droga e farmaco è basata su altro che non la semplice “somiglianza” di alcuni effetti: la via di somministrazione, la preparazione, i parametri biochimici rendono una stessa molecola utilizzabile o meno in senso terapeutico. La cocaina del commercio illegale è tutto fuorché pensata per fare da antidepressivo o da benzina per uomini rampanti o di successo. E’ fatta per essere comprata, e questa è l’unica garanzia che dà. A chi la vende. Per chi la compra c’è poi un costo che corrisponde proprio alla perdita e al danno di quello che si avrebbe voluto far brillare, far girare, e potenziare. Un buco nero di energia.
Silvia Trevaini
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