La ricerca di cibo è la prima azione di sopravvivenza intrinseca all’uomo, è prima di tutto istinto. Il rapporto con il cibo si intreccia fin dalla nascita con le esperienze affettive ed emozionali legate all’allattamento, allo svezzamento. Nella nostra società però il cibo non è solo nutrimento, mangiare e nutrirsi sono legati a situazioni che ci coinvolgono a livello emotivo. Mangiamo non solo per sfamarci, ma anche per golosità, per gusto, per curiosità, per consolarci, per gioire…Così il cibo assume diversi significati.
È condivisione: condividere gesti e rituali legati al cibo ripetuti nel tempo fonda il senso di appartenenza a un gruppo sociale.
È relazione: mangiare e bere insieme è una forma di scambio utilizzata per creare e mantenere relazioni sociali.
È emozione: assaggiarlo, degustarlo, sentirne i profumi, vederne i colori e le forme. È un piacere offrirlo agli amici, riunirsi intorno a una tavola e passare una serata insieme gustandolo. È intrigante condividerlo con chi si desidera conquistare, è un vero e proprio afrodisiaco.
È ricordo: il ricordo di quando eravamo bambini, i gesti della preparazione di pietanze fatte in casa, i profumi della cucina, le ricette della memoria
E così da una semplice tazza di the fuoriescono luoghi, persone, colori ed emozioni che la sola memoria razionale non sarebbe stata capace di rievocare. Oppure come Nanni Moretti che in “Bianca” affoga le proprie preoccupazioni in un gigantesco barattolo di cioccolata. Divorare qualcosa sembra l’unica reazione ad una frustrazione. Tanti sono gli esempi che potremmo fare per indicare come un cibo evochi un’emozione o al contrario un’emozione provochi la ricerca di un cibo come rimedio o contenitore a questa.
Tutto questo aiuta a capire come l’assunzione di cibo rivesta un significato piuttosto complesso che va ben oltre il meccanismo puramente fisiologico, ne parliamo con il nostro esperto di alimentazione fruttariana Giorgio Bogoni.
Negli ultimi 3 anni ho sperimentato molto, variando quantità e qualità del cibo assunto: mi sono spinto fino a privazioni che poche persone sarebbero disposte a tollerare, bevendo solo liquidi ipocalorici (<500 Cal/die) per quasi 3 mesi, ma ho anche provato a sostenermi attraverso regimi alimentari monofrutto, ad esempio ho mangiato solo mele per 2 mesi.
Queste esperienze mi hanno consentito di acquisire una visione più consapevole di ciò che ci spinge a mangiare e a scegliere un alimento rispetto a un altro.
Viviamo infatti un particolare momento storico durante il quale parte del Pianeta è ancora bisognosa di cibo, inteso come indistinta massa calorica atta alla sopravvivenza, mentre, dove questa necessità è ormai superata, c’è la possibilità di interrogarsi circa il significato di ciò che scegliamo di mangiare.
Di fatto desideriamo cibi in grado di soddisfare i nostri bisogni psicologici e, inversamente, il nostro stato emotivo è profondamente condizionato da ciò che mangiamo: il nostro inconscio determina le nostre scelte alimentari e da queste dipende la generale sensazione di Benessere.
Ciò che mangiamo è indiscutibilmente fonte di nutrimento per il nostro organismo, ma il nostro corpo ha una capacità di adattamento eccezionale ed è in grado di sostenersi facendosi bastare ciò che può ricavare da quello che si mette in bocca. E può farlo molto a lungo, prima di sviluppare una vera carenza.
Per questo, quello che ci guida la mano nella direzione di una pietanza piuttosto che un’altra sono le ombre del nostro passato, personale ed evoluzionistico, e non, come ci piacerebbe credere, i reali bisogni nutrizionali del nostro organismo in quel particolare momento.
Così, la scelta di una fetta di torta rispetto ad un frutto, non significa che il corpo abbia inviato al cervello gli stimoli corrispondenti a preferire la torta al frutto perché ha rilevato la carenza nell’organismo dei nutrienti che vi troverà.
Piuttosto l’inconscio, alla ricerca del piacere, ha optato per quello che, tra i ricordi personali, associava a momenti di festa, per offrirsi una nuova piccola festa. Inoltre, l’alto contenuto di zucchero che il corpo sa di trovare nei dolci da forno, soddisfa anche un bisogno antico e tramandato da generazioni legato al preferire quanto fornisca energia istantanea e accumulabile per eventuali futuri momenti di carestia.
Inoltre le nostre scelte vengono condizionate dall’industria alimentare che, ben conoscendo i meccanismi mentali che ci spingono a scegliere un prodotto rispetto ad un altro, portano sui nostri teleschermi spot pubblicitari di famiglie felici, tavole imbandite a festa e pascoli da sogno. Sanno benissimo che, nella fretta della spesa al Supermercato, metteremo nel carrello ciò che è stato presentato come parte del futuro felice che tutti desideriamo: l’acquisto è direzionato dall’emozione, prima che dal ragionamento, e quindi pubblicità e packaging ci influenzano significativamente.
A questo si aggiunge la chimica introdotta ormai da decine d’anni nei prodotti confezionati, finalizzata unicamente a farci ripetere l’acquisto.
Sono davvero tanti i motivi per mangiare qualcosa, ma lo facciamo senza alcuna consapevolezza del motivo per cui lo stiamo facendo…
Silvia Trevaini
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