Dipendenti da junk food, come uscirne

Cibi diversi, dai gusti differenti, accomunati dallo stesso scopo, quello di appagare una bramosia che sembra incontenibile. Gli anglosassoni lo chiamano food carving: un intenso desiderio per un cibo specifico, incontrollabile e indipendente dalla fame; la voglia che trasforma una persona del tutto normale nell’Hannibal Lecter di dolciumi e salatini. È altamente improbabile che il craving sopraggiunga  alla vista di un piatto di verdura. I cibi che scatenano le abbuffate, in effetti, sono quelli che contengono un alto bliss point ( punto di beatitudine), raggiungibile attraverso l’incrocio di tre sostanze: zuccheri, sale e grassi. Le industrie alimentari, dal canto loro, sanno bene come creare quell’apice di beatitudine, ideando prodotti che sono salati ma contenenti zucchero, pensiamo al pane industriale; oppure dolci con una nota di sale, come gli snack che si trovano nelle macchinette. Altro aspetto che fa stravedere per questi cibi è la consistenza: i biscotti ripieni, croccanti fuori e morbidi dentro, sono l’esempio più calzante. Non è solo la composizione a influire sul consumatore, ma anche la modalità di consumo. Certi prodotti sono concepiti per essere mangiati subito, in fretta e senza il bisogno di doverli assaporare. Appena li si mette in bocca si raggiunge il bliss point e scatta la voglia di divorarne altri. Questi prodotti confezionati, trascurando il loro scarso valore nutrizionale, non sono di per sé pericolosi, ma lo diventano nel momento in cui vengono assunti in quantità eccessive e come un’abitudine e non soltanto assaggiati e come un’eccezione.

Il termine più usato per classificarli è junk food, o cibo spazzatura. Questi non sono solo appetibili ma possono creare dipendenza con vere crisi d’astinenza al pari delle sostanze stupefacenti. È il cervello quindi a essere depistato: quando scatta la voglia matta e si pensa di dover aprire il sacchetto  delle patatine per riempire quell’improvviso buco nello stomaco, in realtà lo stomaco non è affatto vuoto, la fame non è vera fame, ma è una fame emotiva. Uscire da questa dipendenza non è facile e può rendersi necessario affiancare al consulto di un nutrizionista, che indica come mangiare correttamente, il supporto di uno psicologo esperto in disturbi del comportamento alimentare.

Vediamo alcuni consigli per uscire dalla dipendenza

  • Riscopri il giorno di magro non solo per motivi etici o religiosi, ma per ragioni legate alla salute e perché 24 ore di restrizione calorica ti aiutano ad acquisire una miglior consapevolezza alimentare e a distinguere la fame reale da quella emotiva
  • Evita le diete drastiche. I regimi alimentari che escludono i carboidrati nell’immediato fanno perdere peso , ma alla lunga risultano essere dannosi. Meglio seguire una dieta mediterranea a base vegetale.
  • Non giudicarti. Se hai ceduto a una tentazione guarda avanti, andrà meglio la prossima volta
  • Leggi le etichette, facendo attenzione a tutti gli ingredienti quando acquisti cibi confezionati. Non farti ingannare da diciture come “light” o “senza zuccheri”
  • Fai la spesa a pancia piena, sarai meno incline a mettere nel carrello cibi inutili
  • Rimanda il momento dell’abbuffata, distraendo il cervello. Per esempio, prima di cedere alle lusinghe della scatola di cioccolatini, fai 500 passi, contandoli uno ad uno all’andata, poi altri 500 passi al ritorno. Cammina quindi o fai una chiamata ad un’amica.
  • Assapora ogni boccone, prima di trangugiare lo snack in pochi istanti , mettine in bocca un pezzetto e lascialo li per un minuto, posizionandolo sotto la lingua, masticandolo, facendolo girare, ma senza deglutirlo. A poco a poco di accorgerai che il gusto sublime, ricco di bliss point, ti piacerà sempre meno e alla fine potrebbe addirittura risultare stucchevole.

trevaini50Silvia Trevaini

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