L’uso disfunzionale della rete: una sfida del nostro tempo

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Accanto alla diffusione vertiginosa delle nuove tecnologie e dei social media, osserviamo un fenomeno sempre più pervasivo e complesso: l’uso disfunzionale della rete. Viviamo in un’epoca in cui la connessione digitale non è più solo uno strumento, ma una parte integrante delle nostre vite. L’accesso a Internet e ai social media ci offre opportunità senza precedenti per comunicare, informarci e intrattenerci. Tuttavia, queste stesse opportunità hanno un lato oscuro, che emerge soprattutto nei più giovani, cresciuti in un mondo dove essere “online” è la norma. L’uso eccessivo o inappropriato della tecnologia non è solo una questione di abitudini, ma può avere profonde implicazioni psicologiche. Oggi, dal punto di vista clinico, stiamo assistendo all’emergere di fenomeni legati a vere e proprie dipendenze da Internet. Non stiamo parlando solo del “troppo tempo davanti allo schermo”, ma di un meccanismo molto più complesso, radicato nel funzionamento del nostro cervello. I social media, in particolare, sono progettati per catturare la nostra attenzione e mantenerci coinvolti il più a lungo possibile. Il sistema di notifiche, i like, i commenti e le visualizzazioni attivano il cosiddetto “centro della ricompensa” nel nostro cervello, rilasciando dopamina, il neurotrasmettitore associato al piacere e alla gratificazione. Ogni interazione positiva ci offre una piccola scarica di piacere, spingendoci a tornare continuamente sulle piattaforme per ricevere un’altra dose di conferme e approvazioni. Questo meccanismo può sembrare innocuo, ma quando l’uso della tecnologia diventa una risposta a stati di sofferenza emotiva o una via per sfuggire a difficoltà nella vita reale, il rischio di dipendenza cresce in modo significativo. Il cervello inizia a percepire quel comportamento come indispensabile per mantenere la stabilità emotiva, e da lì la tecnologia può trasformarsi da risorsa a gabbia. Oggi più che mai, diventa essenziale esplorare le implicazioni psicologiche e sociali dell’uso disfunzionale della rete, riconoscendo le dinamiche che portano a dipendenze digitali e identificando i segnali che ci aiutano a intervenire per tempo. Il fenomeno coinvolge due dinamiche opposte ma ugualmente preoccupanti: da una parte, la sovraesposizione sociale, dove il bisogno di apparire online si trasforma in una dipendenza da approvazione; dall’altra, il ritiro sociale, dove la rete diventa un rifugio che isola dal mondo reale. Per affrontare questa sfida è necessario riflettere, non solo sugli aspetti tecnologici, ma anche sul nostro rapporto con le emozioni, le relazioni e il bisogno di appartenenza.

Sovraesposti sociali: il bisogno di essere sempre online

Viviamo in un’epoca in cui essere “sconnessi” equivale quasi a essere invisibili. Per molti, soprattutto giovani e adolescenti, la presenza sui social media è diventata una vera e propria esigenza esistenziale. I like, i commenti, le visualizzazioni non sono più semplici interazioni digitali, ma si trasformano in veri e propri “termometri” del valore personale. Questo fenomeno, definito “sovraesposizione sociale”, si manifesta quando una persona sente il bisogno costante di condividere ogni momento della propria vita per ottenere conferme esterne. Ogni post, foto o storia diventa un’occasione per misurare il proprio successo, e l’assenza di riscontri positivi può generare un senso di vuoto e frustrazione. Il problema si aggrava quando questa gratificazione diventa l’unico modo per sentirsi validati, spingendo a passare sempre più tempo online e a costruire un’immagine di sé spesso idealizzata e distante dalla realtà. L’impatto psicologico di questa dinamica non è da sottovalutare. La continua ricerca di approvazione digitale può compromettere l’autostima, generare ansia e portare a una dipendenza vera e propria. Per i “sovraesposti sociali”, il mondo reale passa in secondo piano, mentre il tempo dedicato a relazioni autentiche e attività offline si riduce drasticamente.

Ritirati sociali: il rifugio nel mondo digitale

All’opposto dei sovraesposti, troviamo i “ritirati sociali”, persone che scelgono di isolarsi dal mondo reale rifugiandosi in quello digitale. Questo fenomeno, che in Giappone viene definito hikikomori, si sta diffondendo anche in Italia, soprattutto tra i giovani. In questi casi, Internet diventa una sorta di rifugio, un luogo dove non ci si sente giudicati e dove è possibile costruire una realtà alternativa, più accogliente e controllabile rispetto a quella reale. I ritirati sociali tendono a evitare il confronto diretto con gli altri, rifiutando le relazioni faccia a faccia. Spesso trascorrono ore, se non giorni interi, chiusi nelle loro stanze, immersi nei videogiochi, nei social media o in piattaforme di streaming. Questa dinamica non è solo il risultato di un uso disfunzionale della rete, ma spesso rappresenta una risposta a un disagio più profondo, legato a difficoltà emotive, bassa autostima, ansia sociale o esperienze di bullismo. Il rischio maggiore per queste persone è che il mondo digitale diventi un’alternativa permanente a quello reale, portandole a perdere importanti esperienze di crescita personale e sociale. Il ritiro sociale può infatti alimentare un circolo vizioso: più si rimane isolati, più diventa difficile uscire da questa condizione e ritrovare un equilibrio.

Ampliare la rete di supporto sociale: la chiave per il cambiamento

Di fronte a questi fenomeni, la soluzione non può essere semplicemente “staccare la spina”. È fondamentale riconoscere il ruolo che la rete e i social media hanno assunto nella nostra vita e affrontare il problema alla radice. Una delle strategie più efficaci è quella di lavorare sull’ampliamento della rete di supporto sociale, sia offline che online. Per i sovraesposti sociali, questo significa aiutare le persone a costruire relazioni autentiche e a trovare gratificazione al di fuori del mondo digitale. Le attività di gruppo, come lo sport, il volontariato o i laboratori creativi, possono offrire occasioni di interazione reale e di valorizzazione personale, contribuendo a ristabilire un equilibrio tra la vita online e quella offline. Per i ritirati sociali, invece, è fondamentale creare un ambiente sicuro e accogliente, in cui possano sentirsi accettati senza la pressione di dover dimostrare qualcosa. Il supporto psicologico può essere un passo cruciale per aiutarli a riconoscere e gestire il loro disagio, mentre percorsi di reintegrazione graduale, come programmi educativi o di terapia occupazionale, possono aiutarli a ritrovare fiducia in sé stessi e negli altri. Un ruolo chiave in tutto questo è svolto dalla famiglia e dalla scuola. Educare i giovani a un uso consapevole della tecnologia, promuovere momenti di dialogo e confronto, e offrire modelli di comportamento equilibrati sono strumenti preziosi per prevenire e affrontare il problema.

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Silvia Trevaini

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