L’influenza dei social sulla nostra immagine

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La società in cui viviamo è profondamente interessata dall’apparenza e dall’esteriorità. Siamo sempre connessi con i social media i quali ci bombardano continuamente di immagini, imponendoci un modello che vogliamo raggiungere. L’apparenza sui social media è diventata quasi uno stile di vita. Modifichiamo persino il nostro comportamento per far vedere agli altri cosa stiamo facendo. Molto spesso si pubblica una foto – creando un portfolio di ricordi accessibile a tutti – non per la semplice condivisione, ma per ottenere più like possibili. Il problema si presenta quando si fa dell’apparenza sui social media il centro della propria vita. Non ci limitiamo a fotografare, bensì ci rechiamo espressamente in un luogo per farci un selfie. Ci vestiamo in un determinato modo solo per mostrarlo al mondo. Eseguiamo precise azioni affinché gli altri vedano quello che facciamo. Alcune persone hanno persino perso la vita nel tentativo di scattare il selfie migliore. La percezione che abbiamo del mondo a seguito dell’avvento di questo fenomeno è completamente cambiata e di conseguenza anche i canoni estetici. Numerose persone spendono energie e denaro per la ricerca di un aspetto fisico più gradevole, ricorrendo a esercizi estenuanti in palestra, a diete ferree, all’acquisto di prodotti di bellezza, all’utilizzo di filtri per le immagini sui social network fino ad arrivare alla chirurgia estetica. Sovente per valorizzare l’immagine di sé stessi, si finisce per tralasciare aspetti fondamentali di sé, quali: la personalità, l’intelligenza, le qualità caratteriali, la cultura, i valori, ecc. Negli ultimi anni vi è una tendenza a mettere in evidenza ciò che si vede ad un primo sguardo, a discapito di ciò che è celato alla vista. Oggi il corpo esprime la misura del valore sociale, diventa un oggetto da esibire e abbellire e per farlo si investono tempo, energie e denaro. Così facendo si sacrifica la propria unicità e autenticità, restando ossessionati dalla ricerca di una bellezza che non esiste. Infatti, solitamente la percezione che si ha di sé stessi rispetto all’aspetto esteriore non combacia con quella che gli altri hanno di noi. Spesso, nel dare un giudizio, sia se stessi che sugli altri, ci si rifà al punto di vista socialmente condiviso. Inoltre, in ambito psico-sociologico, non si ha, più il tempo né la voglia di restare da soli con sé stessi e di gestire le proprie emozioni, che sembrano prive di fondamento se non vengono subito comunicate a qualcuno.

In che modo i social influenzano le nostre vite?

Ogni nostra scelta e presa di posizione è infatti condizionata dall’uso patologico che facciamo delle piattaforme virtuali e questo avviene anche a coloro che ritengono di essere del tutto estranei alla comunicazione 4.0. Facebook, Instagram, Telegram, WhatsApp, e diversi altri social network impattano oggigiorno non solo il nostro modo di essere ma hanno introdotto una nuova cultura della quale difficilmente potremmo spogliarci. Si tratta della cultura dell’emulazione, del così fan tutti, caratterizzata da una variegata carrellata di scatti fotografici di sé stessi, luoghi, vestiti, dettagli, e quant’altro, e da parole scritte e postate come fossero verità assolute. Tutto però dipende da un Like. I social dunque sì, condizionano la nostra vita. Anzi la plasmano. Le immagini e gli standard condivisi dai profili vip – tra questi anche gli influencer del momento – possono causare in tutti gli utenti un comune senso di inadeguatezza, nel paragonare la loro esperienza ai risultati, irraggiungibili, che appartengono a quegli utenti che hanno migliaia di followers. Dimenticando che spesso gli “scatti” proposti sono distanti dalla realtà trattandosi di foto in meglio e frutto del lavoro di staff di consulenza di immagine.

La mania di farsi i selfie

La mania incontrollabile di farsi selfie e di postarli sui social network è una vera e propria condizione mentale psicopatologica. Ne soffrono tutte quelle persone che si sentono costrette a postare continuamente foto di se stessi e che, dopo averlo fatto, si sentono felici e appagati. Per descrivere questo “nuovo” disturbo psicologico, novello figlio dei tempi moderni, gli psicologi hanno clonato il termine “selfite”. La definizione è entrata per la prima volta a far parte del vocabolario comune nel 2014 quando, proprio per descrivere l’ossessivo selfie-taking, una parodia di notizie ha suggerito all’American Psychiatric Association di considerare la classificazione di questo comportamento come un disturbo. L’ossessivo bisogno di selfie può diventare quindi una vera e propria sindrome-dipendenza, con tutte le conseguenze psicologiche e sociali per la persona, in termini di tolleranza e astinenza. In questo caso, oltre l’elemento della dipendenza, abbiamo anche quello narcisistico, figlio della “civiltà dell’immagine” nella quale viviamo. Il selfie è qualcosa che richiama l’immagine di sé, in quanto l’immagine del corpo e il desiderio di riconoscersi, dal punto di vista psicologico, evocano il senso dell’identità di un soggetto. Ciò vuol dire che la distorsione tra l’immagine che si ha del proprio corpo e il senso di sé, rischia di procurare un disagio interiore.

Il bisogno di approvazione sociale

Proviamo un bisogno genuino di piacere agli altri, rappresentato dal desiderio di approvazione sociale e di apparire sui social network, così come affermato in uno studio dell’Università del Messico sula disabilità sociale. Questa ricerca ci dice che più che una distorsione, questa impellenza non è altro che un bisogno di approvazione sociale. L’affanno di apparire sui social network sembra quindi essere stimolato da un correlato bisogno di approvazione sociale, dal sentirsi accettati e spalleggiati dagli altri. Per esempio, la sensazione di benessere che proviamo quando carichiamo un selfie che riceve molti Mi piace o commenti lusinghieri.

La felicità sui social è una maschera

Non si tratta più di proporre sé stessi in tutte le sfumature (i social erano nati con l’intento di condividere la propria vita con gli altri), ma offrire solo ciò che di se stessi possa funzionare. Finiamo per dare una forma predefinita alla nostra personalità. È curioso pensare che la parola fingere, derivi dal latino fictus, che vuole dire dare forma. Sui Social Network, quindi, noi fingiamo. Più precisamente rispondiamo a un’esigenza della società: quella di essere sempre felici. L’Euforia Perpetua la chiama lo scrittore francese Pascal Bruckner: «Il dovere di essere felici è l’ideologia dominante di questi anni, quella che ci impone il godimento a tutti i costi. È un’ideologia euforica, che rifiuta la sofferenza e il disagio». La malinconia, la tristezza, la noia e la sofferenza sembrano non aver posto in questa società. Sono degli incidenti di percorso. Malattie da sconfiggere.

I social networking ci allontanano da noi stessi e dalla vita reale

Ormai siamo a tal punto dipendenti da questi media, che ci allontaniamo del tutto dalla vita reale, quella del momento presente. Pensiamo di poter essere in contatto con tutti, ma rischiamo di perdere il contatto con noi stessi. La vita “da profilo” (social, si intende) progressivamente sostituisce le relazioni “faccia a faccia”. Da questo aspetto scaturisce il paradosso di scoprirci sempre più soli nonostante la rete di collegamenti digitali di cui disponiamo 24 ore al giorno che ci mantiene costantemente in relazione con un numero smisurato di contatti.

trevaini50Silvia Trevaini

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