“Da tre notti non riposo, resto ad ascoltare…è la vipera che soffia, che soffia presso l’acqua”
Una delle accoppiate commerciali più fortunate è insonnia/sonnifero. A giudicare dalla mole di sonniferi venduti, si ricava che l’assunzione deve essere in molti casi regolare, ogni sera per lunghi periodi. Ciò risulta strano rispetto alle azioni dei principali sonniferi, perché il loro effetto tende a estinguersi dopo alcune settimane, e l’uso che se ne raccomanda è per periodi brevi, onde evitare l’assuefazione. Si direbbe quindi che una massa di persone abbia perso la capacità fisiologica di dormire, o che non si fidi di poterlo fare senza sonnifero. La consuetudine con questi farmaci diventa tale che molti si scordano perfino di menzionarli quando devono dire la lista di medicine che assumono. Salta fuori dopo, alla fine, o soltanto perché lo si chiede esplicitamente. C’è un sottointeso spesso in quel non menzionarlo, che è “non sono venuto qui per mettere in discussione il mio sonnifero, quello lo gestisco io”. Cosa può essere allo stesso tempo così forte da tenere le persone “strette” alle loro abitudini rassicuranti e al contempo anche molto diffuso, quindi non così strano…? L’ansia. Ne parliamo con il Dott. Matteo Pacini, medico chirurgo, Specialista in Psichiatria e docente di Medicina delle Dipendenze presso l’università di Pisa.
Direi che la causa di insonnia più caratteristica sono i cosiddetti Disturbi d’ansia nelle loro varie forme. In queste c’è, da subito o dopo, quella che possiamo chiamare fobia dell’insonnia. Chi non riesce a dormire per un disturbo d’ansia, o chi è abituato ormai a prendere il sonnifero, si convince che il sonno vada controllato come fosse un interruttore, e che se ciò non avviene non si riesca a dormire per niente e mai più, con conseguenze non chiare ma percepite come incontrollabili.
Mai capitato di passare una notte insonne? Succede che il giorno dopo si è un po’ stralunati, magari stanchi, con gli occhi stanchi, e che ad una certa ora del giorno viene poi un sonno incredibile. Niente di spaventoso, insomma. Ma nell’ansia questo diviene inaccettabile, perché se si afferma l’idea che il sonno debba venire in un certo momento, allora finisce che non verrà, e ciò confermerà la paura che non venga più. Quindi non l’inverso, come si potrebbe pensare, cioè “siccome non dormo, mi sono fissato sul sonno”, ma “siccome mi sono fissato sul sonno, non dormo”.
C’è poi che l’ansia ha paura di sé stessa, e la notte la lascia sola, nel silenzio, ad ascoltarsi. L’ansioso spera nella notte per non pensare. Altrimenti perché non approfittarne per sbrigare del lavoro, per studiare, mettere in ordine vecchie carte, al limite per guardarsi un paio di film, se proprio il sonno non arriva. Ma l’ansioso non tollera la veglia notturna, e anzi sviluppa l’insofferenza per le interruzioni nel sonno. Per coprire un intervallo insonne di un’ora spesso accetta un effetto sedativo durante il giorno, almeno inizialmente. Per ironia della sorte, finisce che l’ansioso cerca alla fine il sonno, ma anche lì il suo cervello si fa sentire, con sogni vividi, angosciosi e complicati.
Non tollera inoltre, la persona ansiosa, di dormire peggio mentre sta scalando il sonnifero a cui è ormai abituato. Non si fida che sia una cosa passeggera. Non si fida che, se non ne ha il controllo notte per notte, il sonno davvero ritorni a posto …da solo. Per questo scalare un sonnifero è così difficile, una difficoltà che non dipende dalla medicina in sé, ma dalla situazione mentale (cerebrale) di chi lo sta facendo.
C’è anche un’altra ansia che non fa dormire, e che è più sottile. È quella delle preoccupazioni. Quelle cose non finite, non risolte, che incombono, da cui si cerca di fuggire ma allo stesso tempo si spera si chiudano al più presto. È quel tipo di insonnia del colpevole che scappa dalla polizia, del traditore che non è stato smascherato… O almeno è così nella fantasia degli scrittori, degli sceneggiatori. Spesso i cattivi dormono sonni tranquilli, e sono invece i buoni, presi in questioni difficili o vittime di circostanze sfortunate, che non si fanno una ragione del destino che li attende. Si dice che i vecchi commissari tenessero i sospetti un giorno in galera per vedere come dormivano. Se si alzavano stravolti, con le occhiaie, sudati e con il letto sfatto per essersi rigirati…erano innocenti. Se invece avevano fatto una bella tirata…
Il sonno è anche il primo piacere, e non stupisce che quindi chi non dorme vada in crisi. Spesso è il momento cruciale perché una persona decida di farsi curare. Un po’ perché non dormire è come non mangiare, sono quelle funzioni di base che si notano quando vacillano. Chi è ansia il piacere non le può concedere, prima deve mettersi al sicuro. Non può rilassarsi se non è tranquillo. Ed è per questo che è come se aspettasse… un segno, un lieto fine, un’anticipazione, per poter finalmente dormire sereno. Oppure, chi è depresso e perde la capacità di provar piacere, o anche soltanto di immaginarsi come si fa a provar piacere, vede cadere anche il piacere primo e più semplice, la forma di auto-erotismo più basilare: dormire. Si è stanchi, ma non si ha sonno. Si è stanchi la sera come la mattina, da depressi. Per il depresso la notte al massimo diventa un momento di tregua, in cui ci si spegne, anche se non è più un ristoro.
Poi pare che col passare degli anni di dorma in maniera meno continua e profonda. Forse una serie di nodi si accumulano e continuano a dare segnali, a irritare, a pungolare il cervello come se dovesse fare la guardia, o stare ancora alzato per trovare una soluzione. Svegliarsi per andare a risolvere una volta per tutte una vecchia questione aperta. Come appunto il soffio della vipera d’acqua in una notte di campagna. Impercettibile e disturbante.
Silvia Trevaini
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