Misoginia è un termine che segna un’epoca. Oggi probabilmente si direbbe ginofobia. Sarà forse perché la parola suona male o è incomponibile, ma chi odia gli omosessuali non è stato indicato come miso-omo… qualcosa, è prevalso il termine “omo-fobo”. Non è un dettaglio, perché “miso” vuol dire “che odia”, mentre invece “fobo” è “che ha paura”. Oggi c’è una vera e propria tendenza mentale a dire che chi mostra comportamenti ostili, discriminanti o intolleranti verso qualcuno, sotto sotto ne ha paura. Questo “sotto sotto” è un concetto psicanalitico: ciò che appare è l’odio, ma maschera una pulsione diversa, che è la paura. Paura di fusione, di essere assimilato e della propria parte simile all’altro. Quindi chi odia gli omosessuali avrebbe sotto sotto paura degli omosessuali, ma questo perché in ultima analisi avrebbe paura della propria parte omosessuale, e cercherebbe di negarla dichiarandola inaccettabile. C’è chi lo fa con lo scherno, chi con la regola religiosa, chi con un generico disdegno, ma in realtà l’odio vero non esiste, è questione di paura, paura di sé stessi. Però io ci andrei piano con le parole, nel senso che prima farei parlare i fenomeni. Chi odia le donne in realtà ne ha paura, ha timore della propria parte femminile e la rifiuta al punto da odiare le donne in generale. Siamo sicuri? Ne parliamo con il Dott. Matteo Pacini, medico chirurgo, Specialista in Psichiatria e docente di Medicina delle Dipendenze presso l’università di Pisa.
Si dice generalmente che l’amore che finisce in omicidio, in violenza, non può definirsi amore, ed è vero. Non è vero che la persona non nutra sentimenti anche positivi nei riguardi della donna che poi diviene oggetto del suo odio. Sono in genere sentimenti idealizzati, si verifica subito una scissione tra un’immagine ideale, che alimenta fantasie e slanci, e una realtà in cui l’uomo non vuole assolutamente confrontarsi con la persona in carne e ossa, in quanto contrastante con il suo ideale “pensato”, quello con cui alimenta la sua fantasia. I modelli sociali probabilmente influiscono fino a un certo punto: l’emancipazione femminile può essere “provocatoria” per uomini dalla mentalità più antica, ma non cambia neanche per quelli aperti il problema del possesso e del senso di precarietà sessuale dell’uomo.
Biologicamente parlando, l’uomo vive in una condizione di appagamento insoddisfatto da parte della donna. Questa è una radica poco studiata dell’odio, ma sostanzialmente per l’uomo la soddisfazione sessuale avviene di regola già tardi e fuori tempo massimo rispetto all’inizio delle sue pulsioni. In più, come è fisiologico, la soddisfazione delle pulsioni non avviene in maniera paritaria, ma semplicemente complementare. Uomo e donna hanno spinte che si incrociano in maniera da trovare l’uno nell’altra dei motivi per accoppiarsi. Ciò non significa che siano paritari, ovvero che siano combacianti e si capiscano realmente, per cui esiste una contrapposizione latente che si può facilmente riattivare.
La donna ha due elementi che per l’uomo sono problematici. La donna può cambiare, l’uomo ha uno scarso interesse al cambiamento, a meno che non derivi da un suo orientamento ad un nuovo scopo. Ne deriva che quando parliamo di coppia, un uomo tende al possesso, e tollera male il venir meno del possesso. Non parliamo di possesso inteso come predominio o controllo, ma semplicemente come conferma di sé. L’uomo lasciato, allontanato o sostituito si sente sostanzialmente defraudato del possesso di un proprio feticcio, una propria donna ideale. Da qui discende un atteggiamento spesso rivendicativo e rancoroso, come di chi non riesce a concepire che l’altro si determini in maniera indipendente e sganciata.
In un continuum, l’uomo vive l’unione con la donna come un ottenere ciò che già sarebbe stato suo da molto prima. Egli mantiene comunque l’istinto di possesso verso altre partner potenziali, ma pur potendo ridurre il proprio interesse per la vita di coppia, ha difficoltà a rinunciare alla titolarità della coppia. Può aggiungere, ma non togliere. Quando non è assecondato in una nuova conquista, si riattiva l’odio per il ritardo o la resistenza incontrate comunque nelle prime conquiste, o in generale nel conquistare, essendo sempre in relativo credito (desidera più di quel che ha). Quando è lasciato, è come se si vedesse revocata la conquista originaria, con lo stesso moto di reazione ostile e rivendicativa.
Nei femminicidi pare strano che, per soddisfare un desiderio di possesso o un amore “malato”, la persona si spinga fino a annientare l’oggetto del suo desiderio. Ma questo non è strano se letto secondo la logica dell’odio, perché chi è lasciato ha soltanto un modo per non sentirsi defraudato del suo bene, ovvero distruggerlo.
Alcuni uomini vivono male un rapporto per motivi di gelosia. In questo caso essi vivono male la possibilità di un tradimento, e lo vivono come pura ipotesi, in genere non perchè abbiano dei sospetti. Questo si verifica perché, o per esperienze passate o per modelli assimilati, ritengono il tradimento parte di un meccanismo oggettivo, che dipende da fattori già in gioco, e non dall’intesa di coppia. Essi sono tipicamente poco rassicurati dall’accordo che c’è nella coppia, e d’altra parte il loro interesse non è diretto verso la speranza di non esser mai traditi, quanto piuttosto sulla messa in atto di un meccanismo di controllo efficace che scoraggi il tradimento, lo abbatta sul nascere. Anche in questo caso essi sono ossessionati dall’idea del possesso da mantenere, rispetto al quale la donna non è una persona con cui interagire, ma un elemento da acquisire e controllare.
Sono molto più a rischio di misoginia le personalità di tipo narcisistico, che quindi non hanno interesse nel benessere dell’altro né godono sinceramente di essere corrisposti, ma semplicemente si compiacciono di avere il consenso dell’altro, spesso tramite dei meccanismi oggettivi, che oltre al consenso determinino anche una dipendenza e un vincolo. I misogini narcisisti iniziano i rapporti tipicamente con una devozione completa, tale per cui l’altro non possa fare a meno di lui, o costruendo falsamente e maliziosamente un’immagine di sé stessi eccezionale, ricorrendo tipicamente anche a bugie e false notizie.
È importante capire però che la distorsione e estremizzazione del narcisista sono la versione patologica di una sfumatura che comunque esiste nell’uomo, e che ha a che vedere con i ruoli innati e la disuguaglianza nel modo in cui uomo e donna si cercano. L’uomo può sviluppare un certo odio nei confronti delle donne, che pure apprezza razionalmente in determinati ruoli o ama periodicamente, perché sono la parte del genere umano che lo frustra, lo fa stare in bilico, lo tiene al guinzaglio, o gli produce delusioni sul piano più intimo, quello sentimentale e sessuale. Da qui può esserci una misoginia “benigna”, cioè ad esempio quella culturale che non è violenta ma passa attraverso la svalutazione delle donne, il pensiero nascosto che siano meno…qualcosa, meno intelligenti, meno incisive, meno risolute, meno serie e coerenti, e così via. Una sottile e continua rivalsa per quel che l’uomo percepisce come un handicap insanabile, cioè un credito sessuale insoddisfatto.
Può essere inquietante da pensare, ma è questione di livelli e di consapevolezza. Altrimenti potremmo dire che in verità non esiste una differenza tra il narcisista con misoginia “maligna” e l’uomo comune con sfumature di misoginia, quello che fa battute sessuali con gli amici, che parla di donne compiacendosi delle proprie “prede”, che fantastica su un predominio mentale che non ha e si sfoga con la superiorità fisica o di ruolo, magari, senza far male a nessuno. Sono versioni di diversa invasività di quell’istinto di possesso (di matrice sessuale) che è alla base sia del possesso “buono” (quello socialmente condiviso), sia di quello cattivo (quello delle violenze e del “o mia o di nessuno”). Possiamo chiudere con una citazione provocatoria di Gomorra, del personaggio di Lelluccio (che tradito dalla moglie non riesce a farsi bastare la vendetta sul rivale): per un uomo “ci sono solo due momenti in cui un uomo è veramente felice con una donna: quando la sposa, e quando la uccide”.
È questo “essere felici” che ha poco a che fare con la paura, e molto con l’impulso, e che dovrebbe mettere in guardia chi si trova di fronte alla versione maligna della misoginia. Innanzitutto, va fermata, non serve cercare di tranquillizzarla. Per l’altra, non è la causa della seconda, e trattarla come tale serve solo a inasprire le contrapposizioni, a mio avviso, senza studiar meglio in realtà la ragione di fondo.
Silvia Trevaini
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