Oggi voglio affrontare insieme al Dottor Matteo Pacini del Centro Medico Visconti di Modrone, il narcismo, una parola molto spesso associata al sesso maschile. Ma vediamo perché.
Tra i termini psichiatrici alcuni entrano nell’uso più o meno comune per contestare i comportamenti altrui. Un vecchio esempio era “isterica” riferito alle donne e derivato dal concetto di “isteria” (manifestazioni fisiche prodotte in maniera dimostrativa per cercare di condizionare l’atteggiamento degli altri nei propri confronti).
Il corrispondente maschile è narcisista, che in origine vorrebbe dire una mente centrata sul bisogno di avere gratificazione di sé, in cui il rapporto con gli altri è un mezzo e non uno dei campi della realizzazione di sé. In altre parole, il narcisista usa gli altri e non mira a realizzarsi insieme agli altri. Il narcisismo rientra in quella serie di profili di personalità in cui appunto la persona mira ad un ruolo individuale, a soddisfare se stessa, e vive i rapporti con l’esterno come un mezzo o un problema, a seconda che si prestino o ostacolino la sua realizzazione.
Finisce che se questa tendenza è dominante la persona non avrà rapporti soddisfacenti, almeno non per le persone con cui interagisce, ma solo rapporti che gli sono o gli sono stati “utili”, e altri che lo hanno deluso o frustrato perché non lo hanno aiutato a perseguire gli obiettivi che aveva su se stesso.
Nel gergo dei litigi tra partners il termine “narcisista” è poi diventato una specie di etichetta per denigrare un atteggiamento maschile diffuso, ovvero un “narcisismo” fisiologico che è abbastanza tipico e specifico della mente maschile, spesso occupata nel realizzare, trascinando con sé gli altri, piuttosto che a gratificarsi di un rapporto in quanto tale, e realizzarsi in quel rapporto. Questo ultimo schema risponde invece più tipicamente ad una impostazione femminile.
Quando uomo e donna litigano, si scambiano accuse di narcisismo e di isterismo, spesso semplicemente sfogandosi degli aspetti dell’essere uomo e donna che non riescono a digerire: la donna pretende e rinfaccia, l’uomo trascura ed è concentrato su se stesso.
Il narcisismo può essere un disturbo? Esistono casi in cui le persone si lamentano della qualità costantemente conflittuale dei loro rapporti, della solitudine in cui si ritrovano nonostante la capacità di creare nuovi rapporti, e del senso di frustrazione per il mancato raggiungimento di obiettivi (alti) che si pongono.
Diciamo anche che il narcisista può rendersi conto di come la sua impostazione abbia dei limiti, ma non riesca a farne a meno, cioè a rinunciare a vedersi “grande”, come se questo significasse una sconfitta, una rinuncia, un abbandono del campo. Invece, spesso quest’idea di dover vincere e primeggiare nella competizione è gratuita, ed è fonte della frustrazione inevitabile con cui si vivono fallimenti o attese anche banali. Quando il narcisista non è assecondato, o è respinto, può sviluppare aggressività o depressione, non riuscendo ad accettare passaggi o condizioni provvisorie in cui può perdere una battaglia, o deve rinunciare a un riconoscimento, o semplicemente non produce negli altri quell’interesse e quell’entusiasmo che aveva sperato, specie in ambito sentimentale.
Esistono poi varianti indicate dal termine “narcisismo maligno”, che sono tipi di narcisismo ad alto grado di pericolosità per gli altri. Sono narcisisti “maligni” la maggior parte degli stalkers sentimentali, e dei bugiardi seriali, cioè quelli che trovano facile e gratificante mentire per ottenere risultati, e si adattano allo smascheramento finale, finché possono, cambiando vita, luoghi, conoscenze, addirittura identità. Lo stalker narcisista è l’esempio di come una naturale tendenza della mente maschile, ovvero la scarsa capacità di “digerire” una fine, o un rifiuto, sia tradotta in rinforzo del comportamento: anziché accettare la sconfitta, quantomeno sul piano pratico, il narcisista estremo “rilancia” con l’insistenza, la minaccia, la calunnia, e tutte le armi che gli consentono insomma di rimanere in gioco e teoricamente di “vincere”, anche se l’oggetto della vittoria (la relazione) in realtà non è neanche più di suo interesse a livello emotivo.
Un corto-circuito relazionale può avvenire quando un partner cerca di correggere quello che ritiene il narcisismo dell’altro mostrandogli quanto ne soffre. Questo tipo di risposta può gratificare un ego narcisistico, che goda nel rendersi conto del potere che ha su un’altra persona: questo non va scambiato con un reale interesse per il bene dell’altro, ma solo con un tipo di rapporto sado-masochistico che può mandare avanti la coppia per lungo tempo, e anzi aumentarne il connotato violento o aspro. Il narcisismo tende a essere alimentato dalle dimostrazioni di dolore, cosicché queste non scoraggiano il comportamento egoistico del narcisista, ma lo stimolano, aumentandone il tasso di crudeltà. Molti “narcisisti” maligni che sono falliti in ambito professionale, familiare e sociale tendono ad esempio a cercare soddisfazione in relazioni che vivono come una prova di manipolazione dell’altro, e che impostano in maniera da legare fortemente l’altra persona, isolarla e poi utilizzarla come fonte di prova della propria forza e del proprio peso. I casi di cronaca nera sono esempi frequenti di questo tipo di storie.
Il narcisismo fisiologico è comunque spesso fonte di incomprensioni “croniche” nel rapporto di coppia, ma anche di una vita poco soddisfacente per il narcisista stesso, che soffre per un primato che nessuno pretende da lui, mentre sarebbe più felice e primeggerebbe di più uscendo da un’ottica di “guerra” narcisistica col mondo.
Silvia Trevaini
Videonews