La depressione e il legame con l’intestino

Per anni si è pensato che si annidasse solo nel cervello, ma oggi sempre più indizi ci portano a un secondo nascondiglio: l’intestino. È li che la depressione cerca di sfamarsi, ma in condizioni di stress non trova il nutrimento necessario a placare il suo tormento. A sottrarglielo  sono i batteri del microbiota, miliardi di microorganismi che abitano l’intestino umano e che sono diventati  ormai sorvegliati speciali sotto la lente di medici e scienziati. Si stima che il loro numero sia dieci volte superiore a quello delle nostre cellule: del resto si trovano in moltissimi distretti del corpo, come occhio, bocca, naso, tratto urogenitale e ovviamente intestino.

Fino a una decina di anni fa l’idea che potessero influire sulla mente veniva bollata come fantasiosa: sebbene si fosse intuito un legame tra cervello e intestino, che aveva portato a prescrivere farmaci antidepressivi ai pazienti affetti da colite, si pensava che questo asse di comunicazione fra i due organi fosse a senso unico. Oggi, però, sono sempre più numerosi gli studi scientifici che indicano come questa strada sia in realtà a doppio senso. È stato scientificamente dimostrato che in caso di stress il microbiota intestinale “demolisce” l’amminoacido triptofano, il “mattone” che attraverso il circolo sanguigno viene trasportato dall’intestino al cervello per costruire l’ormone del buonumore, cioè la serotonina. Se questo amminoacido non è disponibile in quantità sufficienti, nel cervello calano i livelli di serotonina: ciò può scatenare la depressione nei soggetti predisposti oppure aggravare i sintomi nei pazienti già colpiti dalla malattia. Questo effetto domino tra intestino e cervello potrebbe perfino essere responsabile del frastuono molecolare che risveglia la “bestia nera” nelle neomamme, scatenando la depressione post-partum che solo in Italia colpisce centomila donne ogni anno. C’è la possibilità che lo stress causato da un parto prematuro possa indurre il microbiota intestinale della madre a distruggere il triptofano, riducendo di conseguenza la produzione di serotonina a livello cerebrale. E la cosa potrebbe non finire qui. Bisogna infatti ricordare che negli ultimi mesi della gravidanza la madre passa al feto tutti quegli acidi grassi polinsaturi a lunga catena che sono cruciali per lo sviluppo del cervello. Se la gravidanza si conclude prima del termine interrompendo questo passaggio, nel corpo della madre si ha un accumulo di acidi grassi che vanno ad aumentare la fluidità della membrana cellulare dei neuroni del cervello: si riduce così la loro capacità di captare la serotonina, che già scarseggia a causa dell’azione del microbiota intestinale. Potrebbe dunque essere questa la “tempesta perfetta” capace di scatenare la depressione nelle donne che hanno già una predisposizione.

A battere questa pista, che porta dal microbiota al cervello, ci sono ormai moltissimi gruppi di ricerca di tutto il mondo. L’ipotesi che si sta facendo largo è che l’intestino delle persone depresse presenti un microbiota caratteristico, con una diversa combinazione di ceppi batterici. Si stanno già identificando anche alcuni batteri che possono avere un effetto protettivo contro la depressione, utili al benessere intestinale. Questi stanno finendo sempre più spesso in capsule e bustine , da semplici probiotici utili al benessere intestinale a “psicobiotici” capaci di agire sulla mente. Alcuni sono già disponibili in farmacia come prodotti da banco. Possono essere affiancati alla tradizionale terapia con antidepressivi, perché non interferiscono con i farmaci, bensì agiscono in maniera fisiologica regolarizzando la funzione dei meccanismi dell’organismo. L’utilità del microbiota, però, non si esaudisce qui: è possibile che in un futuro non troppo lontano l’analisi dei batteri intestinali possa aiutare a inquadrare meglio la condizione clinica del paziente, per mettere a punto strategie terapeutiche sempre più personalizzate. La svolta potrebbe arrivare grazie a nuovi esami del sangue capaci di riconoscere in modo inequivocabile l’impronta molecolare della depressione.

 

trevaini50Silvia Trevaini

VideoNews

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *