Come uscire dalla fame emotiva

Istockohoto

La fame nervosa o emotiva, secondo alcune ricerche, è la principale responsabile dei problemi di peso per il 32% delle donne e per il 19% degli uomini. L’impulso spinge a orientarsi tipicamente verso dolci o snack salati in grado di procurare soddisfazione immediata, anestetizzando la sensazione di malessere del movimento. Grazie all’intenso potere che esercita a livello psicologico, il cibo può diventare una vera e propria droga, una “pillola del benessere” capace di gratificare e di alleviare illusoriamente un attimo di tristezza e malinconia, ma al tempo stesso di mandare a monte in pochi minuti settimane di dieta e di palestra. Ma come nasce la fame emotiva? Si tratta di una fame che non è fisiologica, cioè non è dovuta a uno stomaco che brontola perché a digiuno da ore, ma prevalentemente a meccanismi “nervosi”, ossia psichici. Spesso l’innesco è costituito da stati emotivi: stress, tristezza, rabbia e noia… Quando questo tipo di fame arriva, non si tende semplicemente a “mangiare”, ma letteralmente ci si “abbuffa”. Si tratta di un’abitudine deleteria per la salute dell’organismo, non solo perché può provocare un consistente aumento del peso, ma anche perché tende a influire su delicati meccanismi di regolazione corporea, come il metabolismo.Cosa si manifesta attraverso le abbuffate?
A volte si mangia in maniera incontrollata spinti da un’inquietudine: è il nostro desiderio di evasione che si fa sentire, una vera e propria “fame di vita”, che tendiamo a tradurre in fame di cibo, perché il meccanismo cerebrale dell’appagamento è molto simile, ma il cibo ha il vantaggio di essere veloce e rassicurante. Per timore di affrontare i desideri reali, si preferisce rinchiudersi in una gabbia fatta di gratificazioni alimentari. Il talento personale rimane inespresso e l’essenza dell’individuo è compressa, le sue energie restano intrappolate nel corpo, mentre la vitalità ristagna. Tutta l’esistenza è confinata in un perimetro mentale, una prigione che non viene mai varcata. L’appetito incontrollabile interviene, quindi, come un segnale di allarme. Non è lui il vero nemico, anzi: se lo affronti, ti dà la possibilità di virare la rotta verso una vita più piena. Alla radice di un appetito che non viene dal corpo, ma dall’anima, ci sono infatti bisogni fondamentali che non sono soddisfatti. Chi mangia in modo compulsivo tende a nascondere e a reprimere parti di sé che teme o non vuole riconoscere, al punto che non vive più la propria vita ma un’altra. Questi stati interiori parlano di bisogni non appagati e generano emozioni come paura, collera o vergogna, che si tentano di tenere a bada soffocandole nel cibo.

La via terapeutica
Prima di tutto è importante riuscire a distinguere la fame biologica, dettata cioè da un appetito biologico, dalla fame nervosa. Per far questo può essere utile registrare annotando ad esempio su una scheda, il cibo ingerito quotidianamente e le sensazioni fisiche e gli stati emotivi nel momento stesso in cui si mangia. Differenziare la fame nervosa da quella biologica ci permette di imparare a soddisfare solo quella naturale. L’altro passo fondamentale è quello di osservare senza giudizio le emozioni che precedono l’emotional eating, in modo da accoglierle, accettarle e aumentare la consapevolezza dei propri stati emotivi. Studi recenti dimostrano che gli interventi basati sulla mindfulness possono essere efficaci nel ridurre la fame nervosa. Quando sono presenti ricorrenti episodi di abbuffate (accompagnati dalla sensazione di perdita di controllo) scatenati da alcuni eventi emotivi, è necessario intervenire con una terapia cognitivo comportamentale specifica evidence-based (CBT-E) al fine di trattare in modo efficace il disturbo alimentare presente. La cura della fame nervosa richiede generalmente un percorso che affronti più aspetti. Da un lato è fondamentale riconoscere gli stati emotivi e identificarli. Attraverso questo processo è possibile orientare i propri comportamenti rispetto agli stati d’animo. In secondo luogo, è importante imparare a gestire le proprie scelte. La particolarità delle problematiche psicologiche legate al cibo richiede un trattamento specializzato da parte di un professionista che abbia una reale esperienza in materia ed una formazione adeguata.

Ricerca delle attività di sfogo
Durante i momenti critici dobbiamo però poter disporre anche di valide alternative al mangiare: non possiamo soltanto rifugiarci nel cibo. Il cibo oggi è un bene sempre più a portata di mano: se hai il frigo vuoto puoi andarlo a comprare nel primo supermercato, o addirittura fartelo portare a casa. Proprio per questa immensa disponibilità è facile che diventi una valvola di sfogo, ma non deve essere abituale e soprattutto non può essere l’unica a nostra disposizione. Uno dei modi per scaricare la tensione potrebbe essere la scrittura. Se siamo arrabbiati anziché sfogarci sul cibo, sfoghiamoci su una pagina bianca. Scriviamo lì tutti i motivi per cui siamo nervosi (dandoci delle regole e un tempo dedicato). Un’alternativa è anche l’attività fisica: con un allenamento anche leggero il corpo rilascia endorfine, così l’ansia diminuisce e il nostro sistema cognitivo migliora. Trova qualcos’altro che impegni la mente abbastanza da superare il momento di fame nervosa. All’inizio sarà difficile, ma con la pratica si trasformerà in una buona abitudine che potrai conservare anche dopo che questo momento difficile sarà passato.

 

trevaini50Silvia Trevaini

VideoNews

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *