Ipocondria

Con questo termine si intende la preoccupazione per il proprio corpo e le sue funzioni, che si produce spontaneamente o secondo meccanismi che producono un grado di angoscia inutile o gratuito.

Il termine non indica una malattia specifica, e può riferirsi a stati mentali propri di disturbi diversi. Si esamineranno i casi più frequenti: il panico, il disturbo ossessivo, la depressione e le psicosi. Ne parliamo con il Dottor Matteo Pacini, specialista in psichiatria del Centro Medico Visconti di Modrone.

La preoccupazione può ad esempio svilupparsi come reazione a crisi di panico, ed essere riferita al tipo di sintomi che sono al centro delle crisi. E’ una preoccupazione che riguarda il pericolo di poter avere qualcosa che improvvisamente porti alla morte con la crisi successiva. Le persone che continuano ad avere attacchi possono liberarsi di questa preoccupazione, e limitarsi a “tirarla fuori” soltanto nel momento dell’attacco, quando lo spavento è tale che la persona si vuole rassicurare sull’assenza di un rischio di morte imminente. Le persone sofferenti di panico possono sviluppare anche un secondo tipo di ipocondria, cioè la preoccupazione che, nonostante l’attacco di panico in sé non sia segno di una malattia letale, il ripetersi degli attacchi possa mettere a dura prova il cuore o altri organi (tipicamente il cuore), cosicché lo stress dell’attacco potrebbe accidentalmente essere letale. Questa considerazione è infondata, ed inoltre spesso le persone sofferenti di panico scambiano i “sintomi” con i parametri oggettivi: tipicamente ad esempio riferiscono la palpitazione (sensazione di battito accelerato o di battito violentemente pulsante) come “tachicardia”, termine che invece significa frequenza aumentata del battito. Lo stesso accade quando la sensazione di svenimento o di profonda debolezza durante un attacco con cui la persona si accascia o si stende è riferita come “svenimento” o “abbassamento di pressione” o “calo di zuccheri” senza che in realtà vi sia mai stata perdita di coscienza con caduta, o che la pressione sia effettivamente stata misurata e riscontrata bassa.

La rassicurazione è efficace nell’ipocondria strettamente legata al panico, anche se quella che si sviluppa durante gli attacchi è sostanzialmente inevitabile quando l’attacco è molto violento. Alcune persone controllano il timore di poter “morire” di cuore o avere un infarto durante un attacco utilizzando ansiolitici, o betabloccanti. In alcuni casi sono iniziate terapie anti-ipertensive senza reale diagnosi di ipertensione, con l’idea che siano utili per limitare i rialzi pressori durante l’attacco.

L’ipocondria può essere un tipo di ossessione. In questo caso origina come preoccupazione gratuita. La persona è tormentata da un pensiero circa la possibilità di avere una malattia, e istintivamente tenta di trovare razionalmente una risposta, ovviamente sperando di trovarne una rassicurante. Questo tipo di meccanismo, che normalmente funziona, nel disturbo ossessivo gira a vuoto, perché a livello razionale non esiste mai una certezza assoluta. Pertanto, se la persona ha una preoccupazione specifica su un problema, si darà una risposta non completamente certa ma che gli basterà a prendere una decisione o a concludere che non c’è da preoccuparsi. Se invece la preoccupazione nasce “male” come ossessione che esige una risposta “certa”, nessuna possibile risposta sarà sufficiente. Anzi, ogni risposta porterà altri dettagli che apriranno nuove domande o nuovi punti di incertezza da chiarire. Alla fine, la persona si troverà assediata da mille interrogativi che moltiplicheranno il suo terrore di avere la malattia. Anziché mille “probabili” spiegazioni per concludere che non è malato, avrà mille “possibili” spiegazioni per concludere che lo è. Quel che è peggio, la persona spesso trova il modo di fare esami da solo, senza passare attraverso le ipotesi diagnostiche di un medico, o insiste e ottiene dal medico la prescrizione di accertamenti che in realtà non sono basati sul sospetto diagnostico del medico, ma hanno lo scopo di tranquillizzare il paziente. Questo è un errore procedurale, poiché l’accertamento non segue il sintomo clinicamente dominante (la preoccupazione ipocondriaca) ma il contenuto di queste preoccupazioni come se fosse un sintomo o segno di rilievo. In altre parole, la persona ad esempio fa una TC cranio per la paura di avere un tumore, e non per elementi che fanno sospettare questo al medico. L’ipocondriaco che ha già effettuato esami con queste modalità spesso viene a riferire la sofferenza per l’ossessione, ma poi pretende “anche” di essere ulteriormente rassicurato con altri accertamenti. In questi casi la rassicurazione è deleteria, perché alimenta il circolo ossessivo, e “desensibilizza” il cervello alla rassicurazione automatica, cioè rende ogni incertezza inaccettabile, ogni dubbio sufficiente a motivare angoscia e richieste di chiarimenti. Il paziente, anziché puntare a cacciar via l’ossessione con la dovuta pazienza, può insistere perché lo psichiatra gli dia una risposta sulla sua paura di avere una o l’altra malattia. Le malattie “temute” in questa ipocondria sono solitamente quelle generiche (che cioè possono esprimersi con sintomi diversi e comuni, inizialmente lievi ma che nascondono invece gravi malattie allo stadio iniziale), e quelle subdole, che cioè si potrebbe avere senza accorgersene fin quando è già troppo tardi. Malattie degenerative nervose, tumori, e altro.

L’ipocondria può ovviamente coinvolgere anche i medicinali come fonte di danno all’organismo. Il soggetto con ipocondria da “panico” temerà una reazione acuta e violenta che può farlo morire. Il soggetto ossessivo avrà invece paura di produrre danni irreparabili anche con una sola assunzione, o di innescare processi non controllabili che poi non potranno tornare indietro.

Una forma poco conosciuta di ipocondria è quella “psichica”, cioè la paura di perdere il controllo delle proprie funzioni mentali. Comuni sono la preoccupazione di non avere memoria, che produce l’ossessione di controllarla, con l’ovvio risultato di concludere che funziona male, o non perfettamente. Il “non perfettamente” diviene, controllo dopo controllo sempre più grande, cosicché il paziente si presenta dicendo “non ricordo niente”, “non ho memoria”, “non riesco a memorizzare”. Rispetto alle verifiche che pretendono un funzionamento “a comando” della memoria, ovviamente questa risulterà difettosa. Questa pseudo-amnesia ipocondriaca è una forma diffusa e rispetto a cui i pazienti hanno scarsa capacità critica, poiché a differenza dell’ipocondria riguardante altri organi, poiché il cervello qui è sia fonte che oggetto della preoccupazione. Altra forma comune è la paura di diventare “matti”, per esempio nel senso di potersi aggravare fino a diventare “schizofrenici” o “dementi”, secondo un ragionamento paradossale (il solito delle ossessioni) per cui se non si ha il controllo la situazione potrebbe degenerare senza che possiamo farci niente. La paura di avere “una psicosi” è per esempio una forma comune di ipocondria ossessiva, in cui il paziente anziché preoccuparsi, e anche seriamente, di curarsi l’ossessione, si preoccupa di discutere il contenuto dell’ossessione, cioè la malattia che lo spaventa e che teme di poter sviluppare. Spiegare al paziente il perché il rischio di diventare matto o demente non c’è, è in realtà controproducente, perché rinforza la sua convinzione che ci sia un rischio che deve essere spiegato e discusso per poter esserne rassicurati.

C’è poi il tema ipocondriaco della depressione, che consiste nella lamentela, fino alla convinzione, che il proprio corpo funzioni male o sia in decadenza. I pazienti amplificano i propri limiti, li ritengono segno di invecchiamento, decadimento, origine della loro depressione. Il paziente depresso tipicamente amplifica i sintomi in senso negativo, affermando ad esempio che “non dorme” quando invece ha un sonno spezzettato e superficiale, che “non riesce ad andare di intestino” quando invece va ma sforzandosi o non regolarmente. In questo l’atteggiamento somiglia a quello dell’ipocondria ossessiva, con la differenza che il depresso non cerca spiegazione o rassicurazione, anzi pare rifiutare ogni commento rassicurante, non perché non lo soddisfa ma perché ritiene che le cose vadano per il peggio, e non può accettare altri punti di vista. Nel delirio depressivo, i pazienti possono arrivare ad affermare di non avere più parti del corpo, o che queste non funzionano più, addirittura che sono già morti. Il paziente depresso ipocondriaco non tende a correggere il presunto malfunzionamento, o a fare accertamenti, ma si adatta passivamente alla presunta inabilità, ad esempio mangiando cibi liquidi perché sostiene di non digerire altro, non camminando perché sostiene di non aver forza nelle gambe, facendosi fare clisteri perché non riesce a liberare l’intestino da solo, e così via. Alcune persone, seguendo questo delirio, possono progettare il suicidio per anticipare quella che immaginano come una morte dolorosa, o per evitare agli altri la pena di assistere alla propria fine. Sostanzialmente, dalla lamentela al delirio, nella depressione la persona sembra intenta a confermare e a giustificare i propri sintomi e la propria malattia presunta, con scarso interesse sia a chiarirla, sia a trattarla.

Forma più rara, ma comunque possibile, è il delirio ipocondriaco come componente di altre psicosi. In queste forme il paziente è convinto di avere una malattia e senza troppi accertamenti, anzi tendendo a non effettuarli neanche, si cura o si fa operare affermando sintomi inequivocabili. Sua preoccupazione è di risolvere una malattia che è convinto senza motivo di avere, ma con un fine comprensibile rispetto al delirio. Il fatto che i medici non abbiano posto mai diagnosi, o neghino la diagnosi non serve a convincere il paziente, che si comporterà secondo la sua convinzione. In alcuni casi però, queste persone vanno “a doppio binario”, il che non è strano rispetto ad una psicosi: da una parte infatti sono convinte di avere “un male incurabile” o semplicemente una malattia che li rende invalidi, dall’altra però continuano a vivere palesemente in contrasto con questa presunta invalidità o “condanna”. L’idea di malattia perde quindi ogni significato reale e diviene convinzione completamente autonoma e isolata.

 

trevaini50Silvia Trevaini

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