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L’inizio di novembre segna la fine di un intero ciclo vitale. La natura con i suoi alberi ormai spogli, il letargo di alcuni animali, il clima che si fa più rigido e le giornate più corte e meno luminose, indicano che è il momento per “quel che resta” dopo la spogliazione, dopo la riduzione all’essenziale di ciò che è la vita. La natura sembra più fragile, più vulnerabile, più esposta. Se pensiamo al nostro organismo, che è in sintonia con essa, bisogna ammettere che sia così: novembre è il mese in cui siamo più colpiti da diversi disturbi, sia a livello psichico (c’è la maggior incidenza di depressione) sia a livello fisico (c’è notevole insorgenza di malattie da raffreddamento e reumatologiche). Tale analogia di stato e di vulnerabilità è ben rappresentata dai nostri polmoni, che costituiscono una sorta di “albero rovesciato” (l’albero respiratorio). È un albero che vorrebbe ritirarsi, schermarsi, e che invece è spinto ogni giorno in mezzo al freddo, all’umido e al collettivo, e che, per questo, deve ora essere protetto. Al di là di tutte le variabili legate allo stress, al clima e alle epidemie, i polmoni di novembre sono organi più delicati, come dimostra il notevole aumento di polmoniti, bronchiti e pleuriti. Ed anche il peggioramento di patologie preesistenti, come le bronchiti croniche. Oltre che con il muco e con le cellule ciliate, la mucosa respiratoria si difende con la cosiddetta “vernice immunitaria”, cioè una presenza lungo tutta la superficie di cellule immunitarie e anticorpi (le immunoglobuline), che svolgono una silenziosa ma costante azione di battaglia contro gli agenti esterni. È un sistema immunitario potente, quello respiratorio, ma anch’esso può essere vittima dello stress che ne indebolisce sia l’intensità sia la prontezza dell’intervento. È raro che una polmonite o una broncopolmonite, a parte quelle dovute, purtroppo, al Covid 19 – insorga in un soggetto sano che si sente in piena forma: di solito essa è preceduta da un periodo nel quale la persona ha “dato troppo”, si è trovata a vivere nella frenesia collettiva e, collettivizzandosi, ha “perso identità” e confine, i due aspetti che il sistema immunitario rappresenta. Possiamo contare però su due piante, il timo (che ti mette al riparo da tosse e bronchiti) e la ravensara (per evitare raffreddori). Ma vediamo come… Continua a leggere

Uomini e donne, diversi in tutto, soprattutto nel cuore. Non è questione di sentimenti, ma di come siamo fatti. Tra i due sessi intercorrono molte più differenze di quanto si possa pensare. Anche se oggi i dati in letteratura sono ancora parziali, quelle poche evidenze ci dicono che esistono differenze enormi in base al genere e che queste possono però influenzare direttamente il modo di fare prevenzione, diagnosi e cura. Le malattie cardiovascolari rappresentano a oggi una delle categorie più diffuse di patologie al mondo, e sono gravate da un’importante mortalità. L’insorgenza di queste malattie è differente nelle donne e negli uomini. Negli ultimi decenni, molti studi clinici si sono concentrati su questi disturbi. Alcuni di essi hanno rilevato che, nonostante le donne abbiano minor incidenza, prevalenza e mortalità per tali patologie, ricevono anche meno cure (in termini di prevenzione, accertamenti diagnostici e trattamenti) rispetto alla controparte maschile; alcuni studi hanno inoltre notato che, in seguito ad un evento cardiovascolare acuto, il sesso femminile ha una prognosi peggiore rispetto agli uomini colpiti da tale malattia. Nelle donne la malattia si manifesta con dieci anni di ritardo rispetto agli uomini e dà segnali differenti: il cuore delle donne è più suscettibile alle scariche adrenergiche provocate dalle forti emozioni, ad esempio e nell’infarto non compaiono i tipici segnali riportati dagli uomini. Inoltre, fino a quando non subentra la menopausa ha una specie di ombrello ormonale che la protegge. Le malattie cardiovascolari non colpiscono quindi entrambi i sessi allo stesso modo e gli approcci diagnostico-terapeutici non sono sempre sovrapponibili. Dai fattori di rischio, ai sintomi, alle cure: sono queste le principali diversità da tenere in considerazione. 
Al giorno d’oggi l’estetica è un fattore sempre più importante: avere un bel sorriso è un desiderio fortemente condiviso, come testimoniato da numerose ricerche. Il sorriso rappresenta il nostro biglietto da visita e il 70% dell’espressività del viso. Per questo è così importante per la propria autostima e nella comunicazione con le altre persone. Come ben sappiamo, però, alla base di un bel sorriso vi è sempre un sorriso sano. L’odontoiatria conservativa si occupa del recupero delle strutture dentali compromesse da processi cariosi, dall’azione erosiva di cibi e bevande acide o da lesioni di differente natura. L’odontoiatria conservativa estetica si prende cura dei denti danneggiati. Lo scopo, quindi, è quello di mantenere sani i denti riparando i danni provocati dalla carie dentale, da fratture o traumi, attraverso otturazioni (cure), intarsi o faccette al fine di ripristinare la forma e la funzione masticatoria usando materiali idonei ed estetici con tecniche moderne, confortevoli e indolori. Queste tecniche consentono un restauro del dente in caso di carie superficiale, ovvero quei casi in cui si può ripristinare la salute del dente attraverso la rimozione dello smalto e della dentina attaccati dal processo carioso. In caso di carie profonda, invece, che interessa la polpa dentale (l’organo che contiene i vasi sanguigni e le terminazioni nervose del dente), si interviene con l’endodonzia e si procede quindi alla cura canalare o devitalizzazione del dente. Ne parliamo oggi insieme al Dott Massimo Saita del Santagostino di Milano.