I fanatici delle diete “senza”

Vanno per la maggiore le diete “senza”: regimi alimentari che depennano specifiche sostanze o addirittura intere categorie di cibi, ritenuti intrinsecamente pericolosi per la salute. La logica dell’esclusione tende a prevalere sulla varietà e diete punitive conquistano popolarità, con i mezzi di comunicazione a fare spesso da acritica cassa di risonanza dei loro supposti benefici. Cresce così il numero di coloro che si ostinano ad acquistare solo prodotti gluten free, malgrado non soffrano di celiachia, perché si è diffusa la convinzione che il glutine, un complesso proteico presente nel grano e in altri cereali, sia nocivo per definizione. I fanatici della linea si attengono a diete senza grassi o a quelle con pochi carboidrati anche nelle occasioni speciali, mentre nell’alimentazione di tanti nuovi cultori del salutismo mancano del tutto le proteine animali.C’è chi ha bandito a vita latte e derivati senza essere sfiorato dall’intolleranza al lattosio, foltissime sono le schiere di quelli che hanno abolito la carne sull’onda di una campagna di disinformazione che associa tout court il consumo della costoletta al rischio di cancro e anche il pesce finisce con l’essere troppe volte criminalizzato in blocco, per colpa dei metalli pesanti che si accumulerebbero nelle sue carni. Persino le uova faticano a ritrovare il loro posto a tavola: ancora risentono della congettura che le voleva responsabili di danni cardiovascolari, e pazienza se la ricerca scientifica le ha da tempo completamente riabilitate.

Demonizzare un nutriente o un alimento offre una scorciatoia tranquillizzante. Escludi il “nemico” e hai l’illusione di aver già fatto la tua parte per schivare tante malattie, rallentare l’invecchiamento, allungare l’aspettativa di vita. Se però è vero che alcuni cibi sono più salutari di altri, la realtà è sfaccettata e non si lascia domare dalla divisione netta tra buoni e cattivi. Vediamo cosa ne pensa il nostro esperto di alimentazione fruttariana Giorgio Bogoni.

Individuare il colpevole dei danni che provochiamo al nostro corpo, attraverso il perseverare in continui abusi alimentari, ha lo stesso fascino che trovare un capro espiatorio che ci scagioni completamente e ci consenta di mantenere le nostre abitudini, allontanando l’alimento incriminato.

Purtroppo però le ricerche stanno dimostrando la colpevolezza un po’ di tutto quello che mettiamo in bocca e le successive privazioni alle quali ci sottoponiamo, alla ricerca di cibi salutari, riducono progressivamente la varietà della nostra alimentazione e conseguentemente la possibilità di soddisfare il senso del gusto.

Io stesso sono giunto a nutrirmi quasi solo di frutta a fronte di una progressiva riduzione dei cibi che avevo deciso di assumere; escludendo prima carne e pesce, poi i derivati animali in genere e, per ultimi, semi e piante.

Questa mia esperienza mi ha dato la certezza che ogni alimento presenti un certo grado di tossicità per il corpo e che, per soddisfare il fabbisogno energetico individuale del momento, dobbiamo scegliere quello ci fa stare bene (dal punto di vista fisico ed etico!), evitando solo di affaticare il nostro organismo oltre la misura che è in grado di gestire senza stress.

Questo ragionamento non esclude quindi nessun cibo in particolare, ma vieta di sovraccaricare il sistema digerente fino all’eccesso. In particolare, questo concetto di “carico complessivo” tiene conto di una combinazione di quantità e varietà assumendo, ad esempio, che 100 gr. di carne richiedano al corpo uno sforzo di assimilazione superiore a quello necessario a metabolizzare 100 gr. di frutta. Quindi, semplificando molto e senza distinguere tra il carico a cui si sottopongono le singole parti dell’organismo, quello che conta è la tossicità complessiva e il nostro stato di Salute, che deve essere in grado di gestirla.

Ho anche individuato due atteggiamenti fondamentali, indipendenti dalla quantità e dalla qualità di quello che mangiamo, che riducono in maniera significativa il danno che provochiamo al nostro organismo con l’assunzione di cibo: masticare a lungo e attendere un numero di ore sufficienti tra un pasto e l’altro.

La corretta masticazione è semplicemente una masticazione molto più lunga rispetto a quella a cui siamo abituati. L’idea è ridurre il cibo in liquido, attivandone la scomposizione con gli enzimi presenti nella saliva. Un antico adagio, che ritengo illuminante, sostiene si debba “masticare il boccone un numero di volte pari al numero di denti che si hanno in bocca, sommato al triplo del numero di denti che si sono persi”.

Che sia benefico prolungare l’attesa tra un pasto e l’altro, appare invece subito evidente se si riflette sul fatto che i continui spuntini a cui si è abituato l’uomo moderno non permettono all’organismo di completare il processo digestivo, che consta almeno di 4 fasi distinte: scomposizione, assimilazione, utilizzo e detossificazione dai rifiuti metabolici. Impegnando il corpo in una nuova digestione, con la successiva prematura assunzione di cibo, non si consente l’ultima importantissima fase di eliminazione delle tossine, che vengono conseguentemente stoccate nei tessuti, intasandone la corretta fisiologia.

Quindi non c’è proprio nessun alimento, privandoci del quale possiamo tranquillamente mangiare in maniera irresponsabile, ma dev’essere proprio questa Responsabilità a farci scegliere cosa, quanto e come consumare.

 

trevaini50Silvia Trevaini

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