In cervello intestinale

Da sempre il cervello e l’istinto vengono considerati due realtà antitetiche poichè la prima si riferisce alla ragione, mentre il secondo riguarda la parte irrazionale della persona. Dagli antichi Greci fino ad arrivare ai grandi psicoanalisti Freudiani, il dualismo ragione/istinto ha rappresentato la base per accesi dibattiti e conflitti intellettuali.

In realtà cervello e intestino sono due organi correlati in maniera molto profonda poichè si può supporre che parlino il medesimo linguaggio; infatti sia il sistema nervoso centrale che quello autonomo (che controlla il funzionamento dell’apparato intestinale) utilizzano gli stessi neuromediatori. Tali neuromediatori sono molecole che vengono impiegate nella trasmissione sia delle stimolazioni sensitive (quelle che innescano una reazione), sia degli stimoli motori (le risposte alle stimolazioni). Una delle più importanti ricerche inerenti al ruolo cerebrale dell’intestino (considerato pertanto un “secondo cervello”) è stata effettuata da un gruppo di scienziati della Columbia University, che si è interessato anche della memoria intestinale, secondo cui esiste una comunicazione selettiva tra questi due organi.

Esiste una comunicazione tra i due cervelli che è rappresentata dalle fibre nervose vagali; il nervo vago, infatti, mette in collegamento la corteccia cerebrale con l’apparato intestinale attraverso la serotonina, uno dei neuromediatori più abbondanti dell’organismo. Il suo ruolo a livello dell’intestino è quello di controllare funzioni quali i movimenti peristaltici, le secrezioni enzimatiche e la propulsione degli alimenti all’interno del canale alimentare. Tutti questi segnali vengono trasmessi all’encefalo per mezzo della serotonina presente a livello delle fibre vagali, innescando determinate sensazioni nella corteccia cerebrale.

La relazione tra encefalo ed intestino è a doppio senso dato che entrambi questi organi utilizzano il medesimo neurotrasmettitore; se è vero che la salute dell’apparato intestinale si riflette a livello dell’encefalo, è altrettanto vero il contrario. Infatti è noto che, in periodi particolarmente stressanti, oppure caratterizzati dalla persistenza di attacchi d’ansia, da paure immotivate, da delusioni o da crisi di malinconia, anche il cervello è in grado di condizionare il regolare funzionamento intestinale. In questo caso l’intestino reagisce alterando i suoi compiti fisiologici e possono innescarsi fenomeni di diarrea, stipsi e dolore addominale dovuti all’insorgenza di sindromi infiammatorie come la colite o il colon irritabile.

Al contrario, se la funzionalità intestinale è alterata, tali disturbi si riflettono sull’umore poiché il cervello elabora le sensazioni in maniera negativa, innescando le ben note reazioni di somatizzazione. Da tali considerazioni risulta di fondamentale importanza la necessità di prendersi cura del “cervello intestinale” in quanto il suo ruolo sul benessere dell’organismo si rivela estremamente incisivo. Secondo la teoria dei due cervelli, uno cerebrale ed uno intestinale, sarebbe sempre il secondo a svolgere il ruolo più importante e decisivo, forse anche in conseguenza della maggiore percentuale di serotonina sintetizzata. Vediamo insieme al nostro esperto di alimentazione fruttariana, Giorgio Bogoni, come la tipologia del cibo che ingeriamo, sia fondamentale per capire la relazione tra questi due cervelli.

Quello che mangiamo influenza in maniera significativa il nostro umore, il nostro modo di pensare e in definitiva le decisioni che crediamo di prendere razionalmente, proprio perché è il tipo di cibo presente nel nostro intestino a promuovere una flora batterica rispetto a un’altra ed è questo microbiota a comunicare con il sistema nervoso centrale.

Così, mangiare abitualmente molta carne incrementa il numero dei microorganismi intestinali che si nutrono di carne, questi “chiedono” al cervello altra carne e inducono gli istinti caratteristici del predatore nella persona che ospita tutta questa attività.

Diversamente, nutrirsi prevalentemente di frutta cruda sviluppa una flora che chiede altra frutta e progressivamente instaura nella persona i comportamenti di una pacifica scimmia fruttivora.

È quindi possibile predeterminare il nostro stato emotivo e, in generale, le nostre modalità di relazionarci con gli altri, modificando lentamente le nostre abitudini alimentari.

Ovviamente è evidente che, per come spiegavo la dinamica, la gradualità di questo cambiamento sia la chiave del suo successo infatti, fornendo un diverso nutrimento a batteri che non lo gradiscono, si finisce solo con il soffrire per un senso di mancata sazietà. Bisogna invece aumentare poco alla volta il nuovo cibo virtuoso, in modo che questa maggior disponibilità di risorse promuova il moltiplicarsi dei microrganismi che se ne cibano, a svantaggio di quelli che si nutrono di alimenti meno salutari, la qual popolazione andrà naturalmente a contrarsi.

Il cervello intestinale a prevalenza di flora “salutista”, comunicherà quindi a quello cerebrale lo stesso livello di soddisfazione di quando precedentemente era popolato da microrganismi che chiedevano carne, pizzette e focaccine, semplicemente perché sta ricevendo quello che desidera.

Anzi, il livello di benessere sarà persino maggiore perché la nuova alimentazione richiederà un costo digestivo e uno sforzo disintossicante decisamente inferiore.

Di fatto quindi le sensazioni “di pancia” sono prevalentemente sensazioni di soddisfazione o meno della microflora che ci abita e le abitudini alimentari di quest’ultima possono essere educate.

Fare questo è estremamente importante perché la percezione complessiva di “star bene” deriva dal costante dialogo dei due cervelli e accontentare quello intestinale è più facile, dal momento che quello cerebrale è meno meccanico e pretende di essere compiaciuto nelle sue aspettative di Vita. Traguardo ben più impegnativo che porre un po’ di attenzione a quello che si mette in bocca!

 

trevaini50Silvia Trevaini

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