Perché abbiamo il senso di colpa

Il senso di colpa è uno dei sentimenti più rari e particolari che si possa osservare in una persona. Non parliamo naturalmente del dispiacere transitorio di quando si pesta un piede a qualcuno per errore, o al tradimento fatto però con cognizione di causa, in cui sì, dispiace, ma d’altra parte lo si è fatto per un motivo che sul momento sembra valido. Questione anche di come gira la sorte. “Il senso di colpa è per esempio difficilissimo da valutare laddove invece la società si propone sistematicamente di valutarne peso e autenticità: nei responsabili di reati. Come è possibile pensare di valutare il senso di colpa di chi è stato arrestato o condannato ? Una volta che un progetto è fallito, certo che la persona ha spazio mentale per sentirsi in colpa, ma in colpa soprattutto di aver sbagliato a scegliere di compiere un gesto che poi lo ha portato ad aver guai con la legge”, ci spiega il Dott. Matteo Pacini, medico chirurgo, Specialista in Psichiatria e docente di Medicina delle Dipendenze presso l’università di Pisa.

Il pentito, ad esempio, è espressione di un desiderio sociale: la società fantastica sul senso di colpa del criminale confesso, ma in realtà materialmente gli propone uno scambio di informazioni, così come a qualsiasi prigioniero. Prendiamo poi la colpa di alcuni reati cosiddetti “preterintenzionali”: su cosa si dovrebbe avere senso di colpa, se ciò che è capitato è andato oltre le intenzioni? Colpa per le intenzioni, cosa decisamente poco credibile.

I sistemi religioni ad esempio comprendono meccanismi di pentimento-punizione-perdono che ritualizzano questo tipo di colpa fittizia, consentendo quindi un continuo meccanismo di superamento della colpa e del dispiacere tramite la confessione e il perdono. Siamo tutti colpevoli anche prima di esserlo, e nessuno può scagliare la prima pietra. Dio perdona tutti, lasciando il mistero della sincerità del pentimento.

In psichiatria la colpa è un brutto segno, è uno di quei sentimenti che fa accendere la spia rossa su una condizione di una certa gravità. Non è l’ansia, non è l’insonnia, non è la palpitazione, che possono spaventare ma sono sintomi “facili” da venir fuori anche per disturbi di gravità minima. La colpa no. Se una persona depressa esprime sentimenti di tristezza, nostalgia, rabbia, insofferenza contro gli altri, sconforto…è un conto. Ma se il senso di colpa prevale sull’irritazione contro gli altri, allora la depressione è più profonda.

La prima cosa che ci si deve chiedere sulla colpa è se è, perdonate il gioco di parole, un contraccolpo. Esistono cicli di fasi umorali in cui prima una persona compie gesti avventati, corre rischi, è esuberante e quindi mette in piedi esperienze di vario tipo. Dopo, finita la fase euforica e iniziata la flessione depressiva, ecco che ci si sente in colpa di ciò che prima era motivo di vanto, e la sensazione di essere ammirati e invidiati dagli altri è sostituita da vergogna e imbarazzo per i comportamenti tenuti. Ci possono anche essere conseguenze concrete, per cui mentre si va in depressione piovono addosso anche i danni che uno ha fatto, e quindi la colpa potrebbe essere equivocata per un sentimento comprensibile. Ad esempio: si tradisce il compagno o la compagna, magari anche con relazioni multiple, si va via di casa e ci si lancia verso una nuova vita; finita la fase, si torna indietro sperando di recuperare, pentiti e dimessi, sperando nel perdono e dichiarando di non riconoscersi in ciò che si è fatto, come fosse stata un’altra persona. Si potrebbe chiedere: ma questi sentimenti sono autentici o meno ? Psichiatricamente parlando, non sussiste questo problema: sono autentici ma non lo sono, nel senso che contemporaneamente sono effettivamente vissuti dalla persona, autenticamente anche, ma il motivo per cui vengono fuori è che finisce l’euforia, e subentra la depressione. Spesso inoltre questo giro di boa è dato da un incidente di percorso che interrompe il progetto euforico e fa rimbalzare indietro verso la depressione. Quindi ci si sente veramente in colpa, ma non per scelta.

I temi e le dichiarazioni del depresso in preda alla colpa sono altrettanto esagerate quanto quelle dell’euforico superficiale che non vede il dispiacere che può dare agli altri, o lo vede ma lo snobba. A livello diagnostico, la cosa che interessa è proprio questa accoppiata di opposti: se uno si pente così tanto, allora perché si è esposto così tanto ? Da qui si solito si ricava l’esistenza di un ciclo “bipolare” maggiore o minore: prima leggerezza dell’osare, dopo la pesantezza del fallimento. E la colpa. Un celebre romanzo che parla di colpa, “Delitto e Castigo”, contiene  la visione morale del pentimento come scelta liberatoria in nome di una oggettiva insopportabilità della colpa. Ma nel raccontare la storia si può scegliere anche di interpretarla come la tentazione depressiva di chi prima si vantava di poter andare oltre ogni limite, e dopo cade in una fase depressiva (dopo una febbre) con terrore di essere scoperto che non lo lascia più vivere. Questo tarlo è il segno che l’animo umano è incompatibile con la colpa non confessata? O è espressione di un cervello depresso?

Forse in fisiologia la colpa potrebbe avere il senso di fissare la memoria di un errore con un significato emotivo che non sia solo momentaneo, ma metta radici. E forse è così quando si commettono i primi errori che aiutano a imparare, anche pentendosi. Sicuramente per la colpa depressiva è un sintomo, e non ha alcun senso particolare se non questo, sia quando è lieve, sia quando è grave. Quando è grave può assumere tinte deliranti, fino ai veri e propri deliri di colpa in cui le persona si accusano di aver compiuto delitti celebri, di aver causato catastrofi naturali, di essere la causa di punizioni per l’umanità intera, di dover morire per evitare che Dio castighi altri al posto loro etc.

La vera distinzione è forse tra la colpa, che è comunque espressiva (esiste come comunicazione, dichiarazione, manifestazione) e rimorso. Alcuni assassini, condannati per omicidi compiuti con motivazioni chiare e vissute con intensa partecipazione (per esempio politiche), hanno dichiarato che sostanzialmente non si sentono pentiti, né ritengono sia dignitoso esprimersi in termini di colpa, quanto di rimorso. Non è detto che in base al rimorso si cambierebbe, potendo tornare indietro, la scelta fatta, e averlo non significa criticare quello che si è fatto. Significa viverlo come un disastro a livello umano, non spirituale. E molto più privato e incomunicabile, senza prospettiva di perdono e redenzione.

 

trevaini50Silvia Trevaini

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