Ansia da prestazione

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L’ansia da prestazione ha una definizione semplice, è la paura di fallire in una prova, che si manifesta sul momento, quando inizia la prova. Si distingue quindi dall’ansia anticipatoria, anche se è concatenata con essa. Innanzitutto, conta la struttura di personalità. Ci sono persone che puntano su sé stessi, sul proprio successo, in una maniera estremamente rigida e perfezionistica: o riescono, al meglio; o falliscono. Ciò implica che ogni risultato intermedio che può profilarsi durante la prestazione innesca una crisi, quasi che la reazione ad un mancato successo totale debba favorire un insuccesso totale. Pur essendo assurdo, in un certo senso una persona con una rigidità estrema di questo tipo può sapere come comportarsi solo in queste due condizioni: o va tutto liscio, o “a monte”. Addirittura, se l’ansia cresce già prima della prestazione, questa è annullata: non si va all’esame, si rimanda all’ultimo. Infine, vi sono forme in cui l’ansia di prestazione rallenta addirittura la preparazione alla prova, per cui non si riesce a studiare in vista di un esame, poiché al solo pensiero subentra un’ansia paralizzante circa il possibile fallimento. E’ chiaro in questi casi che l’ansia non è relativa alla prestazione in sé, quanto alla tensione da aspettativa generale su di sé. Ne parliamo con il Dott. Matteo Pacini, medico chirurgo, Specialista in Psichiatria e docente di Medicina delle Dipendenze presso l’università di Pisa.

Vi sono ansie da prestazione più specifiche, in cui la tensione non è apparentemente su di sé ma sull’esito di quella specifica prova, perché da essa discende un futuro importante, ad esempio evitare un fallimento totale. Queste forme sono più critiche, perché la tensione di cui abbiamo parlato sopra porta a considerare la prova come “unica e irripetibile”, e dall’altra parte vi è un’urgenza di riscatto, o di rivalutazione di sé, che la persona affida ad un evento singolo, scommettendoci tutto. È importante individuare queste situazioni soprattutto per le potenziali reazioni al fallimento, e la cosa è possibile perché l’ansia da prestazione si può riprodurre spesso con simulazioni o con l’esposizione immaginativa. Alla base di questa tensione prestazionale spesso c’è uno stato depressivo, che rende ragione della concezione negativa di sé, dell’idea di rovina e catastrofe, e della reazione contro sé stessi in caso di fallimento. Tra l’altro durante una fase depressiva le capacità prestazionali possono essere oggettivamente ridotte, specie quelle che comportano un’interazione, come ad esempio ribattere alle domande, dare l’impressione di sicurezza di sé, recuperare terreno anche dopo una risposta sbagliata. Durante le fasi depressive l’ansia da prestazione può essere così profonda da non essere più espressa in maniera diretta, ma con comportamenti di autoaccusa: la persona che medita di auto-denunciarsi perché ha timore di accertamenti fiscali su errori irrilevanti, lo studente che – a ora di lezione finita – si autodenuncia al professore, confessando che sarebbe stato impreparato se lo avesse chiamato, la persona che manda qualcun altro di sua fiducia, anche pagandolo, a pagare le bollette alla posta perché teme di non sapersi spiegare.

L’ansia da prestazione più nota di tutte è quella sessuale. Forse non tutti sanno ad esempio che la metà del successo dei farmaci per l’erezione è dovuta ad un uso che non è per curare l’erezione, ma per migliorarla. Molti soggetti del tutto normali sono preoccupati di avere una prestazione ineccepibile, e perché no eccezionale, cosicché mettono le mani avanti aumentando al massimo le potenzialità. Questo però non funziona sempre, perché l’ansia da prestazione è l’espressione di uno stato biologico, e questo stato può essere tale da annullare l’effetto di un farmaco per l’erezione. Non necessariamente l’ansia deve essere visibile o manifestarsi come inibizione all’inizio di un rapporto, ma può risultare in una fretta eccessiva, in una urgenza nell’andare a verificare l’efficienza dell’erezione senza raggiungere il dovuto grado di eccitamento, insomma una eccessiva attenzione che denota una preoccupazione per il risultato finale, come se – iniziato il rapporto – uno fosse portato a concluderlo il prima possibile per portare a casa il risultato. Questo, oltre a essere spesso il contrario di quel che uno poteva immaginare, corrisponde ad una interferenza. Talvolta fin da subito, il cosiddetto “fare cilecca”, altre volte durante.  Per queste persone il rapporto è una prova con sé stessi più di quanto sia un momento da vivere con naturale piacevolezza. In parole povere, il “lasciarsi andare” è difficile, e al posto di questo c’è più un atteggiamento da chi cerca di guidare un mezzo e di controllare il percorso fino alla meta. Il mezzo, che invece richiede di essere lasciato andare da solo per poter procedere, reagisce frenando.

Per fortuna, le ansie da prestazione possono essere desensibilizzate in vario modo. Sia farmacologicamente che non. L’ansiolitico al bisogno, pur potendosi rivelare efficace in singole occasioni, è una strategia a doppio taglio, da valutare con cautela. L’ansiolitico in sé può peggiorare le capacità prestazionali, pur migliorando la capacità di distacco. Altri farmaci, con altro meccanismo, partono a monte dall’ansia anticipatoria, la rigidità, e prevengono alla fine la crisi da prestazione. Anche qui però ci sono limiti, perché ad esempio i farmaci anti-ansia di tipo antidepressivo possono essi stessi indurre degli effetti negativi sull’erezione e sull’orgasmo. L’ansia prestazionale se lasciata sé, specie quando la persona tende ad evitare, si sensibilizza, cioè viene fuori sempre più facilmente e in maniera potente. Se invece l’esposizione si ripete in maniera controllata e guidata, si può desensibilizzare. Nella fisiologia, questa è la modalità con cui nel tempo si fa il callo all’ansia da prova, ma va tenuto conto che se c’è un disturbo d’ansia, significa che invece ad ogni crisi prestazionale corrisponde un abbassamento della soglia, e quindi non è opportuno insistere che la persona si esponga se in quel momento, ma fornire strumenti per far alzare la soglia.

 

trevaini50Silvia Trevaini

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