
Dicembre avanza, l’aria si fa più nitida e i boschi sembrano custodire un silenzio speciale, lo stesso che i popoli antichi sentivano avvicinarsi con il solstizio d’inverno. In questo periodo, in cui la natura rallenta e il buio cresce, i Celti trovavano un significato profondo nei cicli stagionali, leggendo in ogni pianta un messaggio di rinascita. Ed è curioso scoprire come molte tradizioni che oggi associamo al Natale, dai rami sempreverdi al vischio appeso sopra la porta, affondino le radici proprio in quella cultura. Pur non avendo lasciato testi scritti, i Celti hanno trasmesso un sapere fitoterapico ricco e sorprendentemente moderno, che torna particolarmente vivo nei mesi più freddi, quando l’organismo chiede calore, equilibrio e sostegno naturale.
Nelle sei regioni in cui la cultura celtica è ancora vitale, Irlanda, Scozia, Galles, Cornovaglia, Bretagna e Isola di Man, l’uso delle erbe medicinali rimane parte della routine quotidiana, soprattutto in inverno. Decotti, infusioni, vini medicati e tinture madri rappresentano una continuità con i rituali dei druidi, figure che custodivano un sapere intuitivo e profondamente connesso alla natura. Le piante non erano semplici “rimedi”, ma entità con un ruolo simbolico e terapeutico. In particolare, durante la stagione invernale i Celti si affidavano ai rami sempreverdi, ai frutti resistenti al gelo e alle cortecce ricche di principi attivi per sostenere il corpo e proteggere lo spirito.


A metà dicembre iniziano i primi brindisi e le cene prenatalizie con i colleghi o gli amici del corso di yoga. Si entra nel vivo delle abbuffate alla Vigilia di Natale e non ci si schioda dalla tavola prima dell’Epifania, con la promessa che dal giorno successivo si vivrà di centrifugati e tapis roulant. A rischio non è soltanto la linea, con un aumento di peso stimato mediamente in circa due chili, ma anche la salute. Bruciori di stomaco, gonfiori, cattiva digestione e diarrea sono tra i disturbi più frequenti durante le festività.
